Giorgio Parisi è stato vincitore del Premio Wolf per la fisica “per le sue scoperte pioneristiche nella teoria quantistica dei campi, in meccanica statistica e nei sistemi complessi". È stato il primo italiano a entrare a far parte dei Clarivate Citation Laureates, una lista che comprende i ricercatori le cui pubblicazioni sono tra le più citate al mondo e che è considerata una sorta di anticamera per il Premio Nobel. È stato citato per le "scoperte rivoluzionarie relative alla cromodinamica quantistica e lo studio dei sistemi disordinati complessi".
Ha, infine, vinto il Premio Nobel per la Fisica nel 2021 "per la scoperta dell'interazione tra disordine e fluttuazioni nei sistemi fisici dalle scale atomiche a quelle planetarie"
Avrebbe potuto vincerne uno prima dei 30 anni, come ha simpaticamente raccontato lui stesso. In quella occasione gli è stato detto di essere “wild”. Ha rivoluzionato molti campi della fisica teorica ed ha lavorato sempre in Italia.
František Janouch parlando di Lev Landau, uno dei più grandi fisici teorici del secolo scorso, ebbe da dire [1]:
“Il chimico tedesco Wilhelm Ostwald divideva gli uomini di scienza in due gruppi: i classicisti e i romantici. I classicisti conoscono molto bene il proprio campo scientifico e spesso dedicano la loro intera vita a elaborare una teoria o a risolvere un problema. Per loro è un processo raro e difficile passare da un ambito all’altro. I romantici, invece, hanno una conoscenza enciclopedica in vari campi, spesso molto diversi tra loro, e mostrano un vivo interesse per vari problemi nelle varie discipline. I loro processi di pensiero sono peculiari, istintivi e spesso derivati da associazioni remote. Librano come gli uccelli da un campo scientifico all’altro. Landau era senza dubbio un romantico.”
Seguendo questa definizione, senza scomodare funamboleschi paragoni, nella lista dei romantici si trova anche Giorgio Parisi. Con la sua capacità di spostarsi da un settore all’altro, durante l’arco della sua carriera, ha collezionato risultati di primaria importanza in diversi campi, oscillando principalmente tra la teoria quantistica dei campi e la meccanica statistica, arrivando però ad occuparsi di reti neuronali e di modellizzazione dei sistemi biologici. Inoltre, insieme a Nicola Cabibbo, il suo maestro, e altri collaboratori ha realizzato l’APE (Array Processor Expansible), un calcolatore usato per le teorie di gauge, e i successivi modelli APE 100 e APE 1000. Ma il contributo per cui è più conosciuto è quello dei vetri di spin e, più in generale, quello dei sistemi disordinati. Il suo lavoro ha dato il via a un vasto filone di ricerca in diversi settori, sottolineando ancora una volta come la fisica sia (e in una certa misura debba essere) una materia interdisciplinare. Parisi stesso ha scritto [2]:
“Il mio contributo scientifico più importante sono convinto sia stato inventare nuovi strumenti matematici per descrivere regole ed equilibri dentro i sistemi disordinati, ed è questo che ha dato grande impulso allo studio dei sistemi complessi.”
La storia dei vetri di spin è ben riassunta in una serie di articoli [3] di Philip Warren Anderson, premio Nobel per la fisica nel 1977, pubblicati su Physics Today. La rassegna inizia così [4]:
“La storia dei vetri di spin può rappresentare il miglior esempio che conosca del detto che un vero mistero scientifico debba essere inseguito fino in capo al mondo semplicemente perché è interessante, indipendentemente da una sua qualsiasi importanza pratica o fasino intellettuale. Se un fenomeno sembra contraddire i principi fondamentale che si pensava di aver compreso (a patto che si creda anche agli esperimenti!) si dovrebbe continuare a inseguire il fenomeno.”
Un modello teorico era stato proposto, nel dicembre del 1975, da David Sherrington e Scott Kirkpatrick nel loro articolo Solvable Model of a Spin-Glass (Un modello risolubile per vetri di spin). In questo lavoro però si cita testualmente che l’entropia di tale modello, che deve essere non negativa per definizione, a T=0 era negativa. Parisi, nel 1979, trovò la soluzione esatta di questo modello.
“Quando trovai la soluzione, non mi era assolutamente chiaro quale fosse il suo significato fisico: c’è voluto un periodo di svariati anni di lavoro, quasi dieci, anche più, per riuscire a identificare il significato fisico della soluzione e poi per cercare di riscriverla in maniera migliore.” [5]
Nel suo lavoro Infinite Number of Order Parameters for Spin-Glasses (Numero infinito di parametri d’ordine per i vetri di spin) Parisi ha introdotto il concetto di Replica Symmetry Breaking (RSB), sfruttando la Replica Theory, ovvero l’introduzione di un certo numero di copie o repliche del sistema in modo da usare argomenti statistici, correggendo così la previsione di entropia negativa di Sherrington e Kirkpatrick, e fornendo un nuovo importante metodo di indagine per lo studio dei vetri di spin, che ha avuto un profondo impatto su molte aree della fisica e della matematica.
Questo approccio non venne salutato con molto entusiasmo, come ricorda [6]:
“Come sempre avviene per gli articoli scientifici, prima della pubblicazione anche il mio fu mandato a un referee, cioè a un collega in grado di capire se il lavoro fosse degno di essere pubblicato o no. Il suo commento fu più o meno: «La cosa che Parisi sta facendo è assolutamente incomprensibile; dato che però le equazioni danno risultati in accordo con le simulazioni numeriche, il lavoro si può anche pubblicare. Per quanto riguarda la parte relativa alla generalizzazione dell’approccio al caso più complicato non vale la carta su cui è scritto». L’articolo venne pubblicato, ma tagliai l’ultima parte.”
I matematici cercarono subito di dimostrare questi risultati facendo però pochi progressi. Solo all’inizio del 2000 Francesco Guerra ha avuto una serie di geniali intuizioni che si sono rivelati essenziali per la dimostrazione della correttezza della teoria di Parisi. Nel 2006, sulle Annals of Mathematics, Michel
Talagrand nell’articolo The Parisi Formula ha dimostrato “la celebre predizione” fatta quasi trent’anni prima. Con semplificazioni e riduzioni, una versione relativamente semplice della dimostrazione è stata fatta nel 2013.
Il resoconto migliore dell’intera storia si trova sempre nelle parole del protagonista [7]:
“Quando sei curioso e vorresti sapere la risposta alle tue domande, incominci a cercare: una volta sui libri, adesso in rete. Quando sei fortunato, trovi le risposte, ma quando le risposte non ci sono, perché nessuno le conosce, se sei veramente curioso inizi a domandarti se non dovresti essere proprio tu a trovare la risposta.”
Sempre nel 1979, firmando un articolo con Luciano Maiani, Roberto Petronzio e Nicola Cabibbo, ha dato un contributo fondamentale alla fisica delle particelle, in particolare sul bosone di Higgs. Tramite un’analisi teorica generale hanno concluso che il bosone di Higgs doveva essere più pesante di 110 GeV e più leggero di 164 GeV. Circa quarant’anni dopo, nel 2012 i ricercatori del CERN con un semplice “I think we have it” hanno annunciato che il bosone di Higgs era stato individuato proprio nel range previsto dal gruppo romano.
Due anni prima, nel 1977, mentre era all’Institut des Hautes Études Scientifiques (IHES) a Bures-sur-Yvette, ha scritto con Guido Altarelli, che era all’ École Normale Supérieur (ENS), l’importantissimo articolo Asymptotic freedom in parton language sulle distribuzioni del modello dei partoni che è alla base di ogni successiva applicazione della cromodinamica quantistica (Quantum Chromodynamics, QCD). Altarelli scherzosamente diceva che quello era il lavoro francese più citato di fisica delle alte energie in quanto entrambi gli autori erano in istituti di ricerca francesi, e quindi francesi per affiliazione scientifica.
Nelle parole di Stefano Forte [8] quel lavoro:
“Contiene un risultato eccezionale, che dà senso a un intero campo, mettendo in relazione e dando un senso a qualcosa che era confusamente presente in letteratura in varie forme (…) Ed è completamente privo di errori. Come Guido commentò una volta a un collaboratore, quando si scoprì che il ripetuto fallimento di un controllo numerico era dovuto a un sottile problema teorico, piuttosto che a un banale errore, «non facciamo mai errori di calcolo, facciamo solo errori concettuali» - e possiamo immaginare il suo grande sorriso e il suo modo autoironico di dire le cose.”
Per un resoconto più tecnico, scritto proprio da Parisi, si veda [9].
C’è comunque un invisibile filo rosso che collega Parisi a un altro grande fisico romano: Enrico Fermi. Come ha scritto Francesco Sylos Labini in un interessantissimo articolo [10]:
“Un lungo percorso nello sviluppo della fisica lega i due scienziati romani insigniti con il premio Nobel per la fisica: Enrico Fermi nel 1938 e Giorgio Parisi nel 2021. Entrambi hanno avuto l’opportunità di sviluppare le loro eccezionali doti sull’onda di due diversi periodi rivoluzionari per la fisica. Fermi nacque nel 1901, quattro anni prima di uno dei cambiamenti epocali della fisica classica: quello apportato dalla Relatività Ristretta sviluppata da Einstein. La seconda rivoluzione avvenuta è stata quello dello sviluppo della meccanica quantistica. Fermi fu proprio una delle figure chiave per riuscire nell’eccezionale impresa di mettere in libertà le spaventose quantità di energie contenute nella materia subnucleare. D’altra parte, questi stessi studi hanno posto le basi delle moderne ricerche dei costituenti fondamentali della materia: per questo Enrico Fermi fu insignito con il premio Nobel del 1938. Dagli anni Settanta in poi ci fu un’altra rivoluzione, che fa riferimento ai fenomeni caotici, ai sistemi composti da tanti elementi interagenti e a quell’insieme di attività di ricerca che oggi vanno sotto il nome di fisica dei sistemi complessi. Se il caos ha messo in crisi un altro caposaldo del senso comune, quello della predicibilità di un sistema di cui si conoscono le leggi dinamiche fondamentali, la fisica dei sistemi complessi ha inglobato i fenomeni caotici in un quadro concettuale più generale che trascende i confini stessi della fisica. È proprio in questo ambito che si inserisce il lavoro di Giorgio Parisi, che ha anche dato contributi importanti nel campo delle particelle elementari, la cromo-dinamica quantistica, e che ha ricevuto il Premio Nobel del 2021.”
Fig. 1: Giorgio Parisi
È, forse, ormai celebre il racconto del Premio Nobel sfiorato a 25 anni che può essere riassunta con un “Parisi is wild” [11]:
“Nel 1955 Lev Landau aveva notato che in tutte le teorie note la forza dell’interazione aumentava con l’aumentare dell’energia. Da punto di vista tecnico Landau aveva trovato che esisteva una funzione (detta comunemente beta) che controllava il comportamento a grandi energie: se la funzione beta era positiva, l’interazione rimaneva sempre forte, se era negativa la teoria era asintoticamente libera. Nel 1972 Sidney Coleman pubblicò un lavoro che faceva vedere che le conclusioni negative di Landau erano perfettamente giustificate anche considerando modelli più complicati. Rimanevano da studiare le teorie di Yang-Mills per capire il segno della funzione beta: un segno negativo sarebbe stata una sorpresa inattesa dalle profonde conseguenze fisiche. Dopo aver letto il lavoro di Coleman nella primavera del ’72 cominciai a riflettere sul segno che aveva la funzione beta. Un giorno, mentre facevo il bagno nella vasca della casa dei miei genitori, nel gabinetto con le pareti ricoperte di un marmo arancione mi concentrai sul problema. Identificai tre contributi alla funzione beta: due avevano segno opposto e si cancellavano tra di loro, il terzo era irrimediabilmente positivo: quindi il segno finale era positivo.
Nella conferenza di Marsiglia nell’estate del ‘72, il fisico di Utrecht Gerard ‘t Hooft annunciò di aver calcolato il segno della funzione beta nelle teorie di Yang-Mills e il risultato era negativo! Il grande annuncio cadde nell’indifferenza totale. L’unica persona che capì a fondo l’importanza del risultato di ‘t Hooft era Kurt Symanzik, un geniale fisico tedesco sulla cinquantina. Io ero molto amico di Symanzik: nel novembre dello stesso anno andai a trovarlo ad Amburgo dove discutemmo di fisica per decine di ore sviscerando tutti i possibili argomenti di interesse in comune, ma non mi parlò del risultato di ‘t Hooft. Come mi spiegò un anno dopo Veltman, Symanzik gli aveva detto: «Parisi is so wild», così impetuoso, meglio non dirgli niente. Symanzik temeva che io scrivessi un articolo utilizzando il risultato di ‘t Hooft. Solo nel febbraio del ‘72 venni a sapere da Symanzik del risultato di ‘t Hooft. Mi ero appena trasferito al Cern di Ginevra per due mesi, e visto che anche ‘t Hooft stava nello stesso centro di ricerca, decidemmo di vederci per capire come poter utilizzare il suo risultato per costruire una teoria del protone e delle altre particelle che fosse asintoticamente libera.
Apparentemente era facile, nel ’64 erano stati proposti i quark e nel 1971 Gell-Mann aveva proposto la teoria in cui ciascun quark esisteva in tre colori diversi. Io conoscevo perfettamente la teoria di Gell-Mann che si basava sull’ipotesi che i quark non interagissero ad alte energie, quindi che la teoria fosse asintoticamente libera. Io avevo puntato sull’ipotesi contraria, che i quark continuassero a interagire anche ad alte energie, e molto presuntuosamente classificai il risultato di Gell-Mann come ingenuo. Lo misi nel dimenticatoio.
Con il senno del poi, la conversazione con ‘t Hooft fu surreale:
«Ciao Gerard, che bel risultato hai ottenuto. Proviamo a vedere se possiamo usarlo per costruire una teoria che descriva il protone e le altre particelle».
«Ottima idea Giorgio! Ma come facciamo? I campi di Yang-Mills devono avere una carica di qualche tipo! Che carica scegliamo?».
«Potremmo prendere la carica elettrica e altre cariche dello stesso tipo».
«Ma no, Giorgio. Questo porterebbe a difficoltà insormontabili con i dati sperimentali!».
«Proviamo a vedere se troviamo una scappatoia in modo che la mia proposta funzioni».
«No, non è possibile» (mi spiega dettagliatamente l’argomento e io non riesco a trovare nessuna falla).
«Hai ragione, Gerard! La tua teoria non si può applicare per descrivere il protone e le altre particelle. Che peccato. Ci vediamo».
Bastava che in quel momento avessi visto il nome di Gell-Mann scritto da qualche parte (per esempio sulla lavagna), o che nei giorni successivi qualcuno, anche a tavola, avesse parlato del modello di Gell-Mann, io sarei corso da ‘t Hooft, gridando «Eureka»: in un paio di giorni avremmo fatto i controlli necessari e mandato il lavoro alla rivista. Pochi mesi dopo Politzer da un lato, Gross e Wilczek dall’altro, rifecero il conto di ‘t Hooft e identificarono le cariche dei campi di Yang-Mills. Fu la nascita della QCD (CromoDinamica Quantistica) e l’articolo fruttò ai tre autori il premio Nobel nel 2004.
Io mi feci sfuggire un articolo potenzialmente da Nobel, ma rimasi con una bella storiella da raccontare.”
Un ulteriore aneddoto è riportato da Marco Isopi [12]:
“Era l’inizio del 1996, io e Giorgo Parisi stavamo viaggiando in treno da Bologna a Roma. Allora ero un neo- ricercatore arrivato da poco alla Sapienza. Mentre stavamo chiacchierando, Giorgio mi domandò a cosa stessi lavorando e, dato che si trattava di vetri di spin, con un certo imbarazzo gli spiegai la domanda che mi ero posto. Ci pensò due, tre minuti poi mi disse: «le fluttuazioni dovrebbero andare come la radice del logaritmo del volume». Una buona parte del lavoro preparatorio lo avevo già fatto, ma ci ho messo quasi un anno a dimostrare quel risultato tutt'altro che ovvio. Quel lavoro, citato anche su Encyclopedia of Mathematics, ha dato inizio a un filone a cui molti hanno contribuito. Giorgio ci è arrivato in due minuti."
Una carriera così lunga e piena di risultati è difficile da riassumere, ma una cosa che accomuna e accorpa tutti gli scienziati è la madre di tutte le domande: “perché?”
Attingendo ancora una volta alle parole di Parisi [13]:
“Posso inventare un pezzo di matematica nuovo, che non si era mai visto prima e che anche a me può sembrare folle poi invece risulta che funziona. Posso costruire teorie fisiche del tutto nuove, che spingono un po’ più avanti la nostra comprensione del mondo. Ma questo non mi basta, anzi forse non è neppure la cosa importante. Insight. Vedere dentro, comprensione profonda. La questione non è solo fare esattamente il calcolo, ma capirne il perché profondo. I computer attuali sono in grado di fare calcoli algebrici (non solo numerici): mettiamo un computer a lavorare e troviamo il risultato. Ma a quel punto non abbiamo ancora alcun insight, non sappiamo ancora nulla sul perché il risultato è quello e solo quello. E noi lo vogliamo capire. E capire se lo stesso risultato si possa ottenere in modo più semplice. Non basta che venga il risultato, io voglio capire il perché.”
Note:
[1] F. Janouch, Lev D. Landau: his life and work (1979) CERN.
[2] G. Parisi, P. Paterlini, Gradini che non finiscono mai. Vita quotidiana di un premio Nobel (2022) La nave di Teseo.
[3] P.W. Anderson Spin Glassi I,II,III,IV,V,VI,VII Physics Today 1988-1990.
[4] P.W. Anderson Spin Glassi I: A Scaling Law Rescued¸ Physics Today 41, 1, 9 (1988).
[5] INFN, Un Nobel alla relazione tra disordine e casualità intervista a Giorgio Parisi, ottobre 2021 trascrizione di una videointervista del 2018. https://home.infn.it/newsletter-eu/pdf/NEWSL_INFN_86_ita_2.pdf
[6] G. Parisi, In un volo di storni. Le meraviglie dei sistemi complessi. (2021) Rizzoli.
[7] Ibidem.
[8] S. Forte, Guido Altarelli (1941-2015) Nuclear Physics B 901 (2015) 249–251.
[9] G. Parisi, Historical and personal recollections of Guido Altarelli arXiv.org 28 Dec. 2017 (arXiv:1712.10030 [physics.hist-ph]).
[10] F. Sylos Labini, Da Enrico Fermi a Giorgio Parisi 26 ottobre 2021 https://francescosyloslabini.info/2021/10/26/da-enrico-fermi-a-giorgio-p...
[11] https://www.corriere.it/cronache/21_ottobre_06/giorgio-parisi-nobel-scap... 80e1-1715b255e4f7.shtml ma citato anche In un volo di storni.
[12] Da un suo ricordo personale.
[13] G. Parisi, P. Paterlini.