“Dal punto di vista scientifico è uno degli uomini più brillanti con cui sono entrato in contatto nella mia carriera scientifica” [1], Enrico Fermi in un rapporto del 1951 scritto per il senatore Brian McMahon su Bruno Pontecorvo.
Il 2 agosto del 1913, nella piccola frazione di Marina di Pisa, nasceva da una ricca famiglia della borghesia Bruno Pontecorvo. I Pontecorvo sembravano avere un’inclinazione per il talento: Guido, il maggiore, diventerà un genetista di fama internazionale; Gilberto, detto Gillo, il minore, sceglierà la strada artistica, diventando un celebre regista cinematografico, vincendo il Leone d’oro per il film La battaglia di Algeri e ottenendo anche due candidature agli Oscar nel 1969. Fin da piccolo Bruno si applica con profitto nello studio e nello sport. Per sua stessa ammissione:
“A scuola andavo abbastanza bene, ma la cosa più importante nella mia vita è stato il tennis!”[2]
Ma si insedierà presto in lui il germe del dubbio, arrivando a pensare di non essere dotato di una particolare intelligenza:
“I miei genitori, persone conservatrici, erano piuttosto autoritari e avevano un’opinione ben precisa (che nascondevano) su ciascuno di noi, cosa di cui venni a conoscenza spiando e facendo deduzioni: secondo loro Guido era il più intelligente, Paolo il più serio, Giuliana la più colta e Bruno il più gentile, ma anche il più limitato, cosa che si vedeva dai suoi occhi, buoni ma privi di intelligenza… Penso che questa opinione, soprattutto, sia alla base della mia timidezza, di quel complesso di inferiorità che mi ha perseguitato per quasi tutta la vita.”[2]
Diplomatosi a soli sedici anni al liceo classico “Galileo Galilei” di Pisa, si iscrisse alla facoltà di Ingegneria e portò a termine il biennio. Non amava però il disegno a maturò la decisione di trasferirsi a Fisica. Guido appoggiò la sua decisione, ma gli consigliò di recarsi a Roma (perché c’erano Enrico Fermi e Franco Rasetti!). Arrivò nella capitale nel maggio del 1932 e, dopo un esame un po’ improvvisato e informale, Pontecorvo venne ammesso al terzo anno del corso di laurea in matematica e fisica. Si laureò, col massimo dei voti, nel 1933 a soli vent’anni. Dopo la laurea venne immediatamente coinvolto nell’attività di ricerca presso l’Istituto di Fisica, entrando così a far parte del gruppo di Ragazzi di Via Panisperna dove venne ribattezzato, per via della sua giovane età, “Il Cucciolo”. (Tutti nel gruppo avevano soprannomi: Fermi era il Papa, Rasetti il Cardinale, Segré e Amaldi gli Abati). Ma allora qualcuno potrebbe chiedersi: nella famosa foto che ritrae il gruppo, perché non compare anche lui? In una conferenza, di molti decenni dopo, Pontecorvo disse:
“Spesso mi chiedono dove sono. Io ho fatto la foto!”[3]
La sua prima ricerca fu nell’ambito della spettroscopia atomica e studiò il fenomeno, scoperto da Amaldi e Segrè e immediatamente spiegato a livello teorico da Fermi, dello spostamento delle righe spettrali dei vapori alcalini immersi in un gas estraneo nel caso di vapori di mercurio. Nel frattempo, all’inizio del 1934, i coniugi francesi Frédéric Joliot e Irène Curie annunciarono di aver scoperto la radioattività artificiale dopo aver bombardato l’alluminio con particelle alfa (nuclei di elio carichi positivamente). Nel marzo dello stesso anno Fermi scoprì che i neutroni posso indurre radioattività su alcuni elementi. L’apparato sperimentale usato è molto semplice ed è costituito da una sorgente di Radon-Berillio e da un contatore Geiger. Inizialmente la scoperta riguarda solo i due nuclei leggeri di alluminio e fluoro, ma ben presto iniziò un’analisi sistematica degli elementi della tavola periodica ed entro l’estate vengono creati radioisotopi da oltre quaranta dei sessanta elementi chimici studiati. Nell’autunno del ’34 Pontecorvo venne coinvolto nelle ricerche in questo campo. Il suo primo compito è quello di stabilire, insieme a Edoardo Amaldi, una scala quantitativa delle attività indotte negli elementi bombardati. I due si trovarono di fronte a interessanti considerazioni: l’intensità della radioattività sembrava dipendere dal materiale su cui venivano posti la sorgente e l’elemento da irradiare. I due osservarono immediatamente che i tavoli in legno avevano proprietà miracolose: se infatti si irradiava l’argento su uno di quei tavoli, piuttosto che su quelli in marmo, si osservava un aumento della radioattività. La mattina del 20 ottobre Fermi, deciso a continuare gli esperimenti, invece che inserire un cuneo di piombo tra la sorgente di neutroni e l’argento da attivare, ci posizionò un pezzo di paraffina. Il risultato fu sbalorditivo. La spiegazione fornita da Fermi è semplice: i neutroni lenti, prodotti nelle collisioni elastiche con gli atomi di idrogeno nella paraffina, o in altri materiali idrogenati, interagiscono più facilmente con i nuclei, risultando così più efficaci nell’indurre radioattività. Nelle parole di Pontecorvo:
“I risultati furono sorprendenti: l’attività dell’argento era centinaia di volte superiore a quella misurata in precedenza. Fermi fermò la confusione e l’agitazione pronunciando una famosa frase che, si dice ripeterà otto anni dopo quando ci fu l’avvio del primo reattore nucleare: «Andiamo a pranzo». Quando egli tornò dopo pranzo all’Istituto e, con incredibile chiarezza ci spiegò l’effetto della paraffina, introducendo così il concetto del rallentamento dei neutroni, ci disse con assoluta sincerità: «Che cosa stupida aver scoperto questo fenomeno casualmente senza averlo saputo prevedere». [...] Quando, più tardi, noi chiedemmo a Fermi perché avesse usato un cuneo di paraffina e non di piombo, egli sorrise e con aria beffarda articolò «C.I.F.» (Con Intuito Fenomenale).”[4]
Di quel periodo, e del Fermi Maestro, Pontecorvo ricordò:
“Con il suo esempio trasmise la sua profonda passione per la fisica, nella quale amava e sottolineava soprattutto la semplicità. Mi ha insegnato a comprendere lo spirito e l’etica della scienza. Da Fermi ho imparato a disprezzare l’avventurismo e il soggettivismo scientifico, a disapprovare l’atmosfera di ‘caccia alla scoperta’ che regna in alcuni istituti di ricerca, e ad avere antipatia verso che in fisica complica anziché semplifica.” [2]
Verso la fine del 1935 il ritmo di lavoro era tragicamente diminuito, un po' per la crescente tensione politica e sociale che l'Italia stava attraversando, un po' perché il gruppo di Roma si stava sgretolando. Majorana si era allontanato dall'Istituto, Rasetti si era trasferito per un soggiorno negli Stati Uniti, Segrè si trasferì a Palermo dove era divenuto titolare della cattedra di Fisica Sperimentale e anche direttore dell'istituto; dal 1936 in poi i lavori più importanti erano nelle mani di Fermi e Amaldi. E il nome di Bruno emergerà ufficialmente in un articolo nella rivista “La Ricerca Scientifica” del 1935 intitolato “Sulle proprietà dei neutroni lenti” dove lo “scopo di questa nota è riferire sulle proprietà dei neutroni lenti e sull’effetto di sostanze non idrogenate sulla radioattività provocata da bombardamento di neutroni”.
Nel 1936 Pontecorvo vinse una borsa di studio per un soggiorno di sei mesi all’estero. Ma dove andare? Fermi gli consigliò di raggiungere Parigi per formarsi all’Institut du Radium dove lavoravano i coniugi Frédéric e Irène Joliot-Curie. Nei primi mesi lavorò ancora sui neutroni lenti, dedicandosi poi allo studio del fenomeno dell’isometria nucleare, considerato un modo promettente per capire la struttura del nucleo. Pontecorvo, infatti, spinto da alcune sue idee teoriche, è convinto che debbano esistere isomeri nucleari stabili dal punto di vista della radioattività beta: riuscì a individuarne un primo esempio nel cadmio eccitato con neutroni veloci nel 1938. L’anno successivo, insieme ad A. Lazard, produce i primi isomeri beta-stabili irradiando nuclei stabili con raggi X alta energia. A Joliot piacquero molto queste ricerche e ribattezzò il fenomeno come “fosforescenza nucleare”. Pontecorvo informò Fermi di questi risultati che, felice, risponde:
“Caro Pontecorvo, la ringrazio dell’invio del suo manoscritto, che del resto avevo già visto pubblicato, e mi congratulo assai per l’ottimo successo della ricerca. Molti auguri per il successo delle sue ricerche e affettuosi saluti.” [5]
Nei suoi ricordi Pontecorvo annotò:
“Ho inviato il mio lavoro a Fermi, il quale, pur essendo un uomo incline alle lodi, si è congratulato con me l’ottimo risultato della ricerca. Ciò mi fece molto piacere, poiché ero convinto che Fermi, che a Roma era solito chiamarmi ‘il grande campione’, avesse per me un certo rispetto solo come esperto di tennis.” [2]
Ma il soggiorno parigino è importante non solo per la sua formazione scientifica, ma anche per quella personale e politica. Le elezioni del ’36 videro il Front Populaire vincitore e Irène vene scelta come sottosegretario per la ricerca scientifica nel governo Blum, e l’ambiente è politicamente molto più attivo rispetto agli ambienti italiani. Rifacendoci sempre alle parole di Pontecorvo:
“Mi colpì molto la generale promiscuità, il gran numero di ragazze che frequentavano l’università [..] ma soprattutto mi colpirono gli operai. A Parigi c’erano gli operai, si riconoscevano fisicamente e frequentavano gli stessi locali dove andavamo noi studenti. Mangiavano al nostro fianco. A Roma credo di non aver mai visto un operaio ma di certo non avevo mai mangiato alla stessa tavola.” [6]
A Parigi trovò anche l’amore: pochi mesi dopo il suo arrivo incontrò la giovane svedese Marianne Nordblom. I due si sposarono ed ebbero il loro primo figlio, Gil.
Nel 1938, l’anno della promulgazione delle leggi razziali, sancì l’impossibilità di un ritorno in Italia di Pontecorvo, la cui posizione all’Istituto francese era rinnovata di sei mesi in sei mesi. Il 13 giugno del 1940, con i nazisti alle porte, Pontecorvo fuggì da Parigi e rocambolescamente riuscì a raggiungere gli Stati Uniti. Grazie ai contatti di Emilio Segré e di Fermi riuscì a trovare lavoro in una compagnia petrolifera a Tulsa, Oklahoma, che si occupava di individuare nuovi giacimenti di petrolio. Basandosi sulla tecnica del rallentamento dei neutroni, Pontecorvo sviluppò un’ingegnosa tecnica per il rivelamento dei pozzi di petrolio, il cosiddetto carotaggio neutronico, che rappresentò la prima applicazione pratica del neutrone.
“Guadagnavo però pochissimi soldi, poi proprio quando arrivarono le prime offerte lucrative da parte di aziende private, accettai l’offerta come ricercatore nel progetto atomico anglo-franco-canadese. A quanto pare, non sono destinato a guadagnare con brevetti, invenzioni e altre cose del genere.” [2]
L’ultima frase di Pontecorvo fa riferimento a un fatto avvenuto anni dopo, nel 1953, quando gli Stati Uniti riconobbero il brevetto sulla tecnica del rallentamento dei neutroni, depositato dai ragazzi di Via Panisperna nell’ottobre 1934 presso il Ministero delle Corporazioni. Ne nacque un contezioso, che si concluse con una sentenza favorevole al gruppo di Fermi e con un risarcimento pari a 27.500 dollari per ciascuno dei suoi membri. Ne beneficiarono tutti. Tutti, tranne Pontecorvo, che venne escluso nonostante il suo nome fosse presente nel brevetto!
Dunque, per tutto il periodo bellico, il maggiore impegno di Pontecorvo riguardò la costruzione del reattore nucleare ad acqua pesante NRX e tutte le problematiche legate alla sua progettazione: studio dei materiali, misura delle sezioni d’urto e la messa a punto di nuovi contatori di neutroni per l’individuare eventuali perdite radioattive. Il reattore entrò ufficialmente in funzione il 22 luglio 1947; per molti anni sarà il principale fornitore di isotopi radioattivi per uso medico.
Il periodo canadese è per Pontecorvo un’inesauribile fonte di ispirazione: maturò alcune geniali intuizioni sulla fisica delle particelle elementari. Mise a punto un metodo basato sulla radiochimica per la cattura dei neutrini solari, in particolare il metodo cloro-argo che rimase per lungo tempo uno dei metodi principali per la loro rilevazione.
Fra il 1944/45 Conversi, Pancini e Piccioni svolgono un famoso esperimento a Roma, identificando una nuova particella, circa duecento volte più pesante dell’elettrone, il muone. Questa particella ha come prodotto di decadimento solamente un elettrone, che non presentava un’energia ben definita ma assortita in un intervallo continuo; questo significava che il muone si divideva in un elettrone e, almeno, in altre due particelle neutre, invisibili alle strumentazioni. Pontecorvo intuì una profonda analogia tra il muone e l’elettrone, osservando che i processi di cattura di queste particelle del nucleo hanno probabilità comparabili. Dedusse allora che nel processo di cattura del muone avrebbe dovuto partecipare un neutrino secondo lo schema: µ + p → ν + n. Questa analogia permise di scoprire che l’interazione debole descritta da Fermi possiede un carattere molto più generale di quanto si pensasse. Ideò inoltre diversi esperimenti in cui si stabilirono diverse proprietà fondamentali del muone.
Nel dopoguerra ricevette varie proposte da prestigiose Università, compresa la possibilità di avere una cattedra a Pisa, offerta che rifiutò, maturando la decisione di andare in Inghilterra. Siamo alla fine degli anni Quaranta e la Guerra Fredda sta iniziando e insieme la caccia alle varie spie; scoppia, forse, il caso più eclatante di quegli anni, quello del fisico tedesco Klaus Fuchs accusato di essere una spia sovietica e di passare segreti nucleari all’Unione Sovietica. Anche Pontecorvo viene indagato ma è subito scagionato per mancanza di prove. Tra l’altro secondo i servizi segreti di Sua Maestà britannica, il fisico italiano non si occuperà mai di questioni puramente militari e non entrerà mai in possesso di dati sensibili.
Nell’estate 1950 la famiglia Pontecorvo tornò in Italia per una vacanza e qui festeggiò il suo compleanno col fratello Gillo, i parenti e gli amici ritrovati. Verso la fine di agosto, Bruno e tutta la sua famiglia presero un volo della Scandinavian Airlines con destinazione Stoccolma. Affrontarono poi un ulteriore viaggio verso Helsinki con l’obiettivo di raggiungere Leningrado. Per superare la cortina di ferro, i Pontecorvo si divisero: Marianne e i tre figli su un’auto; Bruno si nascose nel bagagliaio di un’altra. Una volta attraversato il confine e raggiunta Leningrado, presero tutti un treno e arrivarono, finalmente, a Mosca. Pontecorvo aveva lasciato l’Occidente per recarsi in Unione Sovietica. La notizia della sua fuga destò grande clamore. Alcuni avanzarono l’ipotesi che Pontecorvo abbia portato in dono a Stalin le sue competenze, e suoi segreti, per la costruzione della bomba atomica.
Cerchiamo allora di seguire il ragionamento fatto da Pietro Greco[7]. Si può attribuire a Pontecorvo la cieca convinzione di credere nella creazione di uno stato socialista, ma risulta estremamente complicato credere e sostenere l’ipotesi che si sia recato in URSS per donare la bomba atomica per alcuni semplici motivi. Il primo è che l’Unione Sovietica la bomba già la possiede. Il primo ordigno al plutonio, l’RDS-1 nota anche come Pervaja molnija ("primo fulmine"), è stata fatta esplodere il 29 agosto del 1949. Inoltre, Stalin poteva contare su una squadra di grandissimi scienziati, capeggiata da Igor' Kurčatov. In quegli anni, poi, il semplice fatto di aver viaggiato qualche volta ad Ovest è un motivo di sospetto persino per un russo, figuriamoci per uno straniero. I primi tempi per Pontecorvo sono perciò molto duri. Era tenuto sotto stretta sorveglianza e l’intera famiglia fu costretta all’isolamento per alcuni mesi. Per più di cinque anni l’Occidente non ebbe alcuna notizia su di lui. Solamente nel febbraio 1955 apparve sulla Pravda, l’organo di stampa del Partito Comunista, una dichiarazione del fisico italiano. La pressione su di lui è notevolmente diminuita e l’ambiente attorno a lui si fa più cordiale. Qualche giorno dopo, il 4 marzo, tenne una conferenza stampa nella sede dell’Accademia delle Scienze, alla presenza di giornalisti di tutto il mondo. La notizia appare sulle prime pagine di tutti i quotidiani. Il corrispondente a Mosca per l’Unità, Giuseppe Boffa, riportò per intero l’intervento nell’edizione del 5 marzo 1955 titolando “Conferenza stampa a Mosca dello scienziato Pontecorvo”, dove si legge:
“In una conferenza stampa, durata un’ora e tre quarti, il prof. Bruno Pontecorvo ha lungamente e pazientemente risposto oggi alle domande rivoltegli dai giornalisti sovietici e stranieri presenti a Mosca: egli ha rinnovato il suo appello a tutti gli scienziati del mondo perché lottino contro la minaccia di una guerra atomica. Affabile, cortese, perfettamente a suo agio, Pontecorvo ha soddisfatto tutte le curiosità precisando, tra l’altro, che egli è oggi cittadino sovietico, vive a Mosca con la sua famiglia e lavora esclusivamente nel campo dell’impiego pacifico dell’energia atomica.”
Intanto Pontecorvo si era imposto come uno dei massimi esperti mondiali sulla fisica del neutrino e successivamente si trasferì a Dubna, la famosa città atomica, situata a 120 km a nord di Mosca, dove tre anni prima era sorto un importante istituto per la ricerca nucleare e dove era collocato il più grande acceleratore particelle al mondo, un sincrociclotrone. La sua fama e la sua genialità lo precedono. Qui, seguendo la consuetudine di aggiungere il patronimico al nome, inizieranno a chiamarlo Bruno Maksimovič Pontecorvo. Venne messo a capo della divisione di fisica sperimentale del Laboratorio dei Problemi Nucleari. Qui maturarono le sue rivoluzionarie idee, tra cui quella del mescolamento e delle oscillazioni dei neutrini. Quest’ultima fu teorizzata nel 1957 poco dopo la proposta della teoria dei neutrini a due componenti da parte di Lev Landau, Tsung-Dao Lee, Chen Ning Yang e Abdus Salam, e la sua conferma sperimentale attraverso l’esperimento di Goldhaber.
Pontecorvo fu particolarmente interessato alle oscillazioni particelle neutre studiate da Murray Gell-Mann e Abraham Pais nel 1954. Questa ipotesi suggeriva che certe particelle, in particolare i mesoni K (oggi noti come kaoni) potessero trasformarsi nella loro antiparticella e viceversa. Nel suo lavoro “Mesonium and antimesonium” propose la seguente questione:
“..se esistono altre particelle neutre ‘miste’ (non necessariamente elementari) che non sono identiche alle rispettive antiparticelle e per le quali le transizioni particella-antiparticella non sono rigorosamente proibite.”
Identificò un tale sistema con il muonio, un atomo esotico composto da un antimuone e un elettrone, e l’antimuonio:
“L’unico sistema formato dagli attuali costituenti conosciuti che potrebbe essere una particella mista sarebbe il mesonio, definito come il sistema legato (μ+-e-), e l’antimesonio, cioè il sistema (μ+-e+). Inoltre, l’inversione mesonio-antimesonio non solo non è vietata da nessuna delle leggi conosciute, ma anzi dovrebbe effettivamente verificarsi in virtù delle interazioni già stabilite."
Bisogna chiarire una questione di notazione: quello a cui Pontecorvo fa riferimento col termine mesone è, in realtà, il muone. Questa confusione nasce con una scoperta nel 1936 da parte di Anderson della particella mediatrice delle interazioni nucleari forti che venne identificata inizialmente come il mesone. Solo la serie di esperimenti di Conversi-Pancini-Piccioni degli anni ’40, sotto una Roma bombardata, permisero di fare luce sulla vera natura della particella. Si trattava infatti del muone!
Concluse poi:
“Se la teoria del neutrino a due componenti dovesse rivelarsi errata (cosa che al momento sembra piuttosto improbabile) e se la legge di conservazione della carica del neutrino non si applicasse, allora in linea di principio le transizioni neutrino-antineutrino potrebbero avvenire nel vuoto. Anche in questo caso, così come nel caso in cui si assuma che per ogni mondo esista un anti-mondo, il numero di neutrini e di antineutrini nell'universo dovrebbe essere lo stesso.”
Nel 1956 Frederick Reines e Clyde Cowan svolsero un importante esperimento per dimostrare l’esistenza dei neutrini. Scrissero poi a Wolfgang Pauli, colui che ne aveva teorizzato l’esistenza denominandoli “lo stupido figlio della mia crisi esistenziale”, che recitava:
“Siamo lieti di informarti che abbiamo individuato con certezza i neutrini osservando il decadimento beta inverso dei protoni. La sezione d’urto osservata concorda bene con quella prevista.”
Pauli il giorno dopo rispose:
“Grazie per il messaggio. Tutto arriva a chi sa aspettare.”
Anche qui una nota a margine: in realtà scoprirono l’antineutrino attraverso un processo di decadimento beta dove l’antineutrino interagisce con un protone per dare un neutrone e un positrone.
Allo stesso tempo, Raymond Davis condusse un esperimento con l'obiettivo di rilevare la produzione di argon-37 attraverso l'interazione degli antineutrini provenienti dai reattori nucleari con il cloro-37. Questi eventi potrebbero essere dovuti alle transizioni degli antineutrini in neutrini destrorsi durante il tragitto dal reattore al rivelatore.
Questi due esperimenti suggerirono a Pontecorvo l’idea delle oscillazioni dei neutrini, che pubblicò in uno dei primissimi lavori intitolato “Processi beta inversi e non conservazione della carica leptonica”. Qui scrive:
“È stato osservato che il neutrino potrebbe essere una particella ‘mista’ e di conseguenza potrebbe esistere la possibilità di vere e proprie transizioni neutrino-antineutrino nel vuoto, a patto che la carica leptonica non si conservi. Nella presente nota si studia in modo approfondito questa possibilità, il cui interesse è stato rinnovato da recenti esperimenti sui processi beta inversi.”
E fa due assunzioni: il neutrino e l’antineutrino sono due particelle distinte e che la legge di conservazione della carica del neutrino non è valida per alcuni processi. Scrive poi:
“Dalle ipotesi precedenti si deduce che nel vuoto un neutrino può trasformarsi in un antineutrino e viceversa. Ciò significa che il neutrino e l’antineutrino sono particelle ‘miste’, cioè una combinazione simmetria e antisimmetrica di due particelle di Majorana di diversa parità.”
Si era aperto un nuovo e vasto campo di ricerca in cui lo stesso Pontecorvo vestirà i panni di protagonista.
Le idee e i lavori di Pontecorvo portarono all’assegnazione di diversi Premi Nobel. Agli inizi degli anni Settanta gli americani Ledermann, Schwartz e Steinberger confermarono sperimentalmente l’esistenza del neutrino muonico. I tre vinsero il Nobel nel 1988. Pontecorvo fu il grande escluso. Nel 1995 Frederick Reines, che utilizzò il metodo proposto da Pontecorvo per la rilevazione degli antineutrini prodotti nei reattori nucleari. Successivamente anche i Nobel del 2002 e del 2015 avevano lo zampino delle brillanti intuizioni del fisico italiano.
Jack Steinberger ricordò[8]:
“Era tipico del carattere e dell'intuito di Bruno Pontecorvo suggerire e anticipare esperimenti e risultati che fossero almeno dieci anni in anticipo sui tempi.”
Per molti anni Pontecorvo non poté lasciare l’URSS e riuscì a ritornare in Italia solamente nel 1978, in occasione dei settant’anni dell’amico Edoardo Amaldi. Appena atterrò in Italia, fu travolto da un’orda di giornalisti e dichiarò immediatamente:
“Io subito vi voglio svelare un gran segreto. Io non ho mai, e dico mai, lavorato alla bomba atomica, alla bomba all’idrogeno o a altre bombe, né in Occidente, né in Russia, né in Cina, né altrove.” [9]
Ma il Parkinson stava già manifestando i suoi sintomi. Iniziò a tornare con sempre più frequenza a Roma e, durante una delle sue interviste con Miriam Mafai, alla domanda se si posse pentito della sua scelta, Pontecorvo rispose:
“Ci ho pensato molto ma non riesco a dare una risposta. Io credo di essere sempre stato una persona per bene, anche se alle volte forse ho fatto delle scelte sbagliate. Ma cosa è più importante, fare le scelte giuste o essere una persona per bene?” [6]
Nel 1993 tornò a Dubna dove morì il 24 settembre del 1993. Per sua espressa volontà, metà delle ceneri furono sepolte nel cimitero di Dubna e l’altra metà nel cimitero acattolico di Roma. Nel salutare questa incredibile figura è giusto fare affidamento alle parole che Nicola Cabibbo, uno dei grandi della fisica italiana, dedicò a Pontecorvo in un articolo sul quotidiano “Il Messaggero” uscito nel settembre 1993:
"Con la morte di Pontecorvo abbiamo perso uno dei grandi scienziati di questo secolo, uno dei pionieri della fisica delle alte energie. Il suo contributo non si limita solo allo studio dei neutrini, ma si estende a molti ambiti della fisica delle particelle, dai muoni alle particelle strane, e include anche risultati di grande interesse pratico, come l’uso dei neutroni per l’esplorazione petrolifera.
Qualche mese fa (durante l'estate del 1993, anno della morte di Pontecorvo), dopo una riunione all’Accademia dei Lincei, lo accompagnai a casa — all’ombra della Basilica di San Pietro. Gli chiesi: «Che farai, tornerai a Dubna? A Roma fa caldo.» Lui scrollò le spalle e rispose: «Comunque, tornerò in primavera.»"
Note e bibliografia:
[1] F.Guerra, N. Robotti The beginning of a great adventure: Bruno Pontecorvo in Rome and Paris. Colloquia: The Legacy of Bruno Pontecorvo, Il Nuovo Cimento, Vol.37 C, N.5 (2014)
[2] B. Pontecorvo Una nota autobiografica (in russo: https://brunopontecorvo.jinr.ru/?page_id=7)
[3] Video INFN Comunicazione https://www.youtube.com/watch?v=kWbX1GBHD7E&t=1780s (minuto 10.55)
[4] U.Amaldi Major events and minor episodes. Colloquia: The Legacy of Bruno Pontecorvo, Il Nuovo Cimento, Vol. 3 C, N.5 (2014)
[5] Rino Castaldi Bruno Pontecorvo, a cento anni dalla nascita. Inaugurazione Pianeta Galileo (2013)
[6] Miriam Mafai Il lungo freddo. Storia di Bruno Pontecorvo, lo scienziato che scelse l’URSS. Rizzoli Editore
[7] Pietro Greco L’uomo che non poteva vincere il Nobel su ScienzaNuova (1998)
[8] Jack Steinberger A personal debt to Bruno Pontecorvo https://brunopontecorvo.jinr.ru/?page_id=854#text
[9] Dal video dell’INFN Comunicazione https://www.youtube.com/watch?v=kWbX1GBHD7E&t=671s al minuto 0.55