“In matematica le rivoluzioni sono eventi silenziosi. Nessuno scontro, nessun clamore. La notizia viene comunicata in qualche trafiletto ben lontano dalle prime pagine. Proprio come quel freddo, umido, lunedì pomeriggio del 7 aprile 2003 a Cambridge, Massachusetts. L’anfiteatro del Massachusetts Institute of Technology (MIT) era pieno di persone, giovani e meno giovani: c’era gente seduta sul pavimento e nei passaggi laterali, e in molti erano rimasti in piedi in fondo all’aula. Il relatore, il matematico russo Grigori Perelman, indossava un abito scuro spiegazzato e un paio di scarpe da ginnastica e, mentre veniva presentato, camminava nervosamente avanti e indietro. Calvo e barbuto, con un paio di folte sopracciglia due penetranti occhi neri, provò il microfono ed esordì con una certa esitazione: «Non essendo molto bravo a tenere un discorso lineare, intendo sacrificare la chiarezza alla vivacità dell’esposizione». Il pubblico sorrise, e la conferenza ebbe inizio. Perelman prese un gesso e scrisse sulla lavagna una breve equazione matematica, formulata vent’anni prima: l’equazione del flusso di Ricci.” [1]
Grigori Perelman nasce a Leningrado (oggi San Pietroburgo) il 13 giugno del 1966. Qualche anno prima a sua madre Ljubov fu offerto un posto all’università da Garold Natanson, ma che rifiutò per crescere il bambino. Dieci anni più tardi Ljubov tornò a chiedere consiglio al suo vecchio professore: suo figlio Grigorij dimostrava un’ottima predisposizione per la matematica, ma non sapeva a chi rivolgersi per trasformare quella dote in un talento. Natanson individuò nel giovananissimo Sergey Rukshin, che gestiva un club di matematica, l’uomo giusto. Così, nell’autunno del 1976, Perelman si iscrisse al club di Rukshin, che aveva sede nel Palazzo dei Pionieri di Leningrado dove per due volte alla settimana tutti i membri si riunivano. Venivano assegnati dieci problemi che dovevano essere risolti in maniera autonoma e, successivamente, venivano discussi in classe. Perelman aveva un modo estremamente originale di approcciarsi ai problemi. I ragionamenti e i passaggi algebrici avvenivano principalmente nella sua mente, stratagemma che riduceva al minimo indispensabile l’uso di carta e inchiostro. Mentre penava, però, faceva un sacco di altre cose: principalmente si lamentava, poi si dondolava o emetteva degli strani suoni che lui identificava in qualche composizione classica, mentre i suoi compagni definivano principalmente come “terrore acustico”. Sempre grazie all’aiuto di Rukshin Perelman entrò nella Scuola speciale di matematica e fisica n.239 di Leningrado. In quegli anni il sistema di ammissione alle università sovietiche era basato su una serie di prove scritte e orali. Il diplomato poteva presentare la domanda solo a due atenei; se il candidato era un maschio e falliva entrambe le prove veniva mandato a fare il servizio militare. Nell’anno in cui Perelman ottenne il diploma, l’Unione Sovietica era impegnata nella guerra in Afghanistan e lo spettro della chiamata alle armi aleggiava sopra la testa di ogni ragazzo. Per un giovane genio matematico di origine ebraica, come era Perelman, c’erano solo tre strade percorribili per entrare all’università: presentare domanda in un ateneo che non fosse Leningrado (venivano ammessi solamente due ebrei ogni anno); affidarsi alla fortuna di essere uno di quei due studenti; diventare un membro della squadra sovietica e partecipare alle Olimpiadi Internazionali della matematica. Infatti, essere membro della rappresentanza sovietica garantiva l’acceso automatico a qualsiasi università senza dover sostenere alcun esame d’ingresso. Dopo lunghi processi di selezione, durante i quali eccelse, fu selezionato per prendere parte alle Olimpiadi Internazionali della Matematica nel 1982. Il 7 luglio la squadra arrivò a Budapest, il 9 e 10 ebbe luogo la gara e il 14 arrivarono i risultati. Pererlman conquistò la medaglia d’oro e un premio speciale per aver ottenuto il punteggio perfetto, 42 su 42[2]. Oltre alle onorificenze, conquistò di diritto un posto preso l’università statale di Leningrado. Particolarmente importante in quegli anni fu l’incontro con Aleksandr Aleksandrov che teneva il corso di geometria per le matricole.
Durante i suoi anni universitari fu chiamato da Rukshin per rivestire il ruolo di istruttore per un gruppetto di matematici più giovani di lui solamente di un paio di anni. I suoi standard incredibilmente elevati e la sua severità come insegnante fecero passare tempi bui anche agli studenti più meritevoli. Ad esempio, assegnava ai ragazzi venti problemi giornalieri e se a mezzogiorno uno studente non ne risolveva almeno la metà gli veniva detto che avrebbe saltato il pranzo. (Ovviamente era solo uno strano, e per niente pedagogico, modo di spronarli). Ma questo non era tutto: iniziò anche a cacciare gli studenti dall’aula. È Rukshin stesso che racconta:
“Avevamo cercato di spiegargli che se un alunno era stato ammesso al campo estivo non poteva tenerlo fuori dalla classe per giorni interi, perché a quel punto non si trattava più di una punizione, ma di una totale follia!”[3]
E ancora lui riassume egregiamente il Perelman docente:
“Era un ottimo insegnante per gli studenti preparati, un bravo professore per quelli con buona competenze, e uno mediocre per quelli che avevano una conoscenza limitata della materia.” [3]
Altra figura chiave per il suo sviluppo scientifico fu Viktor Zalgaller, uno dei grandi della geometria sovietica, col quale si laureò nel 1987. Avendo alle spalle già diversi lavori pubblicati, il naturale prosieguo delle cose sembrava l’iscrizione al prestigioso Istituto di matematica Steklov, nella sede distaccata di Leningrado, che era il più importante centro di ricerca di tutta l’Unione Sovietica. Le vecchie politiche di non ammissione degli ebrei continuavano tuttavia a persistere e per assicurargli una posizione si mobilitarono sia Zalgaller che Aleksandrov. Quest’ultimo chiese, e ottenne, di ricoprire il ruolo di relatore di dottorato di Perelman anche se, di fatto, tale posizione fu assunta da Yuri Burago. Ricordò in seguito:
“Ci sono molti studenti con grandi abilità che parlano prima di pensare. Grisha-come spesso veniva chiamato- era diverso: pensava intensamente. Le sue risposte erano sempre corrette. Non era veloce, ma la velocità non significa nulla. La matematica non dipende dalla velocità, è una questione di profondità di pensiero.”[4]
Ottenne il dottorato nel 1990 con una tesi sulle superfici di sella negli spazi euclidei, anche se aveva già pubblicato i principali risultati in un articolo dell’anno prima. Successivamente Burago contattò Mikhael Gromov (futuro premio Abel nel 2009 “per i suoi rivoluzionari contributi alla geometria”) che era stato professore a Leningrado e che in quel momento si trovava in Francia, all’Institut des Hautes Études Scientifiques (IHES). Gli spiegò che aveva uno studente eccezionale e chiese se fosse possibile invitarlo per un soggiorno all’IHES. Il primo importante articolo di Perelman, intitolato A.D. Alexandrov spaces with curvature bounded below, fu scritto proprio in collaborazione con Burago e Gromov. Il matematico Tadeusz Januszkiewicz inizia la sua recensione in questo modo:
“Questo è un articolo importante sotto molti aspetti. Contiene una discussione dettagliata dei fatti fondamentali della teoria. Riconosce che la teoria deli spazi di Aleksandrov è il contesto naturale per molti teoremi importanti della geometria riemanniana e che sia gli enunciati dei teoremi che le dimostrazioni diventano più soddisfacenti (ma non necessariamente più semplici) in questo contesto, e che altri teoremi emergono per completare il quadro.”[5]
Grazie a Gromov inizia una seria di viaggi e soggiorni negli Stati Uniti. Il risultato matematico che consacrò Perelman fu la dimostrazione nel 1994, con un articolo di sole quattro pagine, della cosiddetta congettura dell’anima (formulata nel 1972 da Cheeger Gromoll). Per tale risultato fu chiamato a parlare al Congresso Internazionale dei Matematici tenuto a Zurigo in quello stesso anno. Da quel momento in poi venne corteggiato da moltissime università, tra cui la rinomata Princeton University, rifiutando tutte le offerte ricevute con modo che entrano di diritto nella storia dell’aneddotica della matematica. Quando un membro del comitato di Stanford gli chiese un curriculum da includere nella documentazione per la domanda di assunzione, Perelman disse: “Se conoscono il mio lavoro non hanno bisogno del mio CV. Se hanno bisogno del mio CV è perché non conoscono il mio lavoro”. [4] Rifiutò, dunque, tutte le proposte e nell’estate del 1995 tornò a San Pietroburgo, al suo vecchio lavoro allo Steklov. E da lì non si ebbero praticamente più sue notizie fino al 28 febbraio del 2000, quando nella casella di posta elettronica di Michael Anderson, uno dei maggiori studiosi di geometria differenziale, inclusa la curvatura di Ricci e la congettura di geometrizzazione, arrivò una e-mail:
“Ho appena letto il tuo articolo sulla generalizzazione del teorema di Lichnerowicz e c’è un punto nel tuo testo che mi turba non poco […] Mi è sfuggito qualcosa? Un saluto, Grisha.”[3]
L’indomani Anderson rispose, ringraziando Perelman per avergli scritto e rispondendo ai suoi dubbi, ma chiese, soprattutto, a quale area di ricerca si stesse lavorando al momento. Seguì un breve scambio di e-mail fra i due, dove Perelman spiegò che l’articolo aveva attratto la sua attenzione perché era “tangenzialmente ricollegabile” ai suoi interessi di ricerca. Ma verso quali problemi stava concentrando i suoi sforzi? Per cercare di dare un quadro generale dobbiamo fare un passo indietro e fornire alcuni concetti e piccole definizioni utili ad introdurre (o almeno ad approcciarsi con estrema cautela) la Congettura di Poincaré.
Nel libro di R. Courant e H. Robbins si legge:
“Verso la metà del XIX secolo la geometria si sviluppò in una direzione completamente nuova, dando vita a una delle grandi forze della matematica moderna. Il nuovo argomento, detto topologia, ha come oggetto lo studio delle proprietà delle figure geometriche che persistono anche quando le figure sono sottoposte a deformazioni così profonde da perdere tutte le loro proprietà metriche e proiettive.”[6]
La topologia è, dunque, la disciplina che si occupa dello studio delle proprietà delle figure geometriche che si mantengono anche quando queste vengono deformate in modo continuo. Una delle più importanti classi di trasformazioni sono gli omeomorfismi. Una definizione intuitiva può essere trovata andando a vedere l’etimo della parola che deriva dal greco antico e significa “di forma simile” ed è una particolare funzione fra spazi topologici che rende rigorosa l’idea intuitiva di deformazione senza strappi. Ad esempio, una tazza e una ciambella sono omeomorfi: deformando la tazza in modo appropriato si può arrivare a una ciambella.
Fu il matematico Bernhard Riemann a dare un grande impulso alla materia, come si legge ancora in [6]:
“Quando Riemann andò a Gottinga come studente, trovò l’ambiente matematico di quell’università tutto pervaso da un vivo interesse per queste nuove e strane idee geometriche. Presto si accorse che esse rappresentavano la chiave per la comprensione delle più profonde proprietà delle funzioni analitiche di variabile complessa. Niente, forse, ha dato al successivo sviluppo della topologia un impulso maggiore di quello che essa ha ricevuti dalla grande struttura della teoria delle funzioni di Riemann, per la quale i concetti topologici sono assolutamente fondamentali.”
Uno di questi concetti fondamentali proposti da Riemann è quello di varietà. Una varietà è uno spazio topologico che localmente assomiglia a uno spazio euclideo. Una varietà n-dimensionale (o n-varietà) è uno spazio topologico che in ogni punto ha un intorno che è omeomorfo allo spazio euclideo di dimensione n. Per evitare patologie è richiesto che questi punti siano distinguibili tra loro, isolandoli con intorni aperti e che ci sia una descrizione globale di questi aperti.
Tra il 1895 e il 1904 il matematico francese, l’enciclopedico Henri Poincaré fornì la prima trattazione sistematica della topologia, arrivando a gettare le basi di quella che oggi è conosciuta come topologia algebrica. Per superfici 2-dimensionali compatte (che è una particolare proprietà dello spazio che prendiamo in considerazione) prive di frontiera, se ogni cammino chiuso può essere contratto fino a diventare un punto (ci troviamo a parlare allora di spazi semplicemente connessi), allora la superficie è topologicamente omeomorfa a una 2-sfera. Poincaré allargò queste considerazioni alle 3-varietà e nel 1904, nell’ultimo dei suoi grandi articoli sulla topologia, arrivò a formulare la sua famosissima congettura che può essere espressa nel seguente modo:
“Se una 3-varietà compatta ha la proprietà che ogni curva chiusa semplice all’interno della varietà può essere deformata continuamente fino a un punto, la 3 varietà è omeomorfa alla 3-sfera?”[7]
La Congettura di Poincaré afferma che la risposta a questa domanda è sì. Ma anche lo stesso Poincaré commentò con notevole lungimiranza: "Mais cette question nous entraînerait trop loin" ("Ma questa domanda ci porterebbe troppo lontano"). Da quel momento in poi la congettura tormentò intere generazioni di matematici che, invano, tentarono di dimostrarla. La prima vittima illustre fu Max Dehn, che divenne famoso nel mondo matematico per aver risolto il terzo problema di Hilbert quando ancora era studente. Nel 1908 Dehn pensò di aver trovato la dimostrazione e cercò di accelerare il processo di pubblicazione per evitare che qualcuno, come ad esempio Poincaré, arrivasse alla soluzione. Tuttavia durante il Congresso Internazionale dei Matematici del 1908, discutendo con i colleghi, si accorse di aver commesso più di un errore e decise di ritirare l’articolo. Nel 1936 la Congettura diventò uno dei problemi più famosi della matematica ma ricevette una battuta di arresto, che si protrasse fino al secondo dopoguerra. Solamente nel 1956 il matematico americano John Willard Milnor (Medaglia Fields nel 1962 e Premio Wolf per la matematica nel 1989) riuscì a dimostrare l’esistenza di sfere esotiche, termine da lui coniato per indicare varietà differenziabili omeomorfe ma non diffeomorfe (termine che sta a indicare funzioni che sono differenziabili, invertibili e con inversa differenziabile tra due varietà), in dimensione sette. Con questo risultato Milnor aprì un nuovo filone di ricerca sul calcolo infinitesimale su una sfera che sarà molto utile ai suoi successori. Nel 1960 il matematico John Stallings riuscì a dimostrare la congettura per dimensioni maggiori o uguali a 7; indipendentemente Stephen Smale (Medaglia Fields nel 1966 e Premio Wolf per la matematica nel 2006) riuscì in un’impresa analoga, salvo poi riuscire ad applicare i medesimi metodi dimostrativi al caso delle dimensioni 5 e 6. Circa venti anni più tardi, nel 1982, Michael Freedman (Vincitore della medaglia Fields nel 1986) riuscì ad ottenere la dimostrazione della congettura di Poincaré in dimensione quattro.
Nonostante i grandi progressi, l'enunciato originale della congettura sembrava rimanere inattaccabile: gli ingegnosi metodi usati in più dimensioni perdevano di ogni efficacia nello spazio tridimensionale. Verso gli inizi degli anni Ottanta, il matematico William Thurston arrivò a formulare la sua famosa Congettura di Geometrizzazione che affermava che ogni 3-varietà chiusa e orientabile può essere decomposta in modo unico tagliando lungo sfere bidimensionali e tori incomprimibili, ottenendo così pezzi elementari che potevano essere classificati in diverse geometrie. Quindi la Congettura di Geometrizzazione è una potente generalizzazione di Poincaré dato che nella classificazione di Thurston ogni 3-varietà semplicemente connessa è omeomorfa alla 3-sfera. Il problema quindi si era modificato e, sotto un latro punto di vista, era raddoppiato in difficoltà. Chi diedi il maggior sviluppo a questa nuova sfida matematica fu Richard Hamilton che propose un’elegantissima idea. In qualsiasi dimensione, la superficie di una sfera ha una curvatura costante positiva. Immaginiamo di prendere un qualsivoglia oggetto, non ben definito, nel nostro spazio tridimensionale e di modellarlo a piacere. Se potessimo misurare come varia la curvatura durante queste trasformazioni si potrebbe raggiungere una configurazione in cui l’oggetto ha una curvatura costante positiva, dimostrando così che si tratta di una sfera! Attraverso un potente strumento matematico, chiamato flusso di Ricci (un’equazione differenziale alle derivate parziali simile a quella che descrive la diffusione del calore) Hamilton riuscì a dimostrare che la curvatura di una 3-varietà tendeva a rimanere positiva. Ma come dimostrare che fosse costante? In questa fase le difficoltà matematiche, già di altissimo livello, si fecero ancora più complesse. In matematica (ma anche in fisica) un concetto che spaventa moltissimo sono le singolarità, che sono punti in cui le funzioni, o più in generale gli oggetti matematici che trattiamo, perdono le loro proprietà fondamentali. Hamilton aggirò questo problema concependo una soluzione: cercò di neutralizzare le singolarità “interrompendo” il flusso di Ricci e utilizzando una tecnica chiamata chirurgia. Questa prevedeva l’introduzione di modifiche locali alla varietà per eliminare le singolarità e riprendere successivamente l’evoluzione del flusso. La procedura che ne scaturisce è nota col nome di Flusso di Ricci con chirurgia. Ma nonostante questi progressi, Hamilton si trovò di fronte a ostacoli tecnici e difficoltà concettuali tali da costringerlo a una battuta di arresto.
Il 24 maggio del 2000 a Parigi si tenne un incontro organizzato dall’Istituto Matematico Clay, dove venne presentata la lista dei cosiddetti sette problemi del millennio. L’incontro si aprì con un breve intervento del presidente che terminò facendo ascoltare una registrazione di una delle ultime conferenze pubbliche di Hilbert nel 1930. In quel discorso, Hilbert condannò il pessimismo intellettuale e la concezione secondo la quale esistevano problemi irrisolvibili e concluse con una frase destinata a fare storia: Wir müssen wissen, wir werden wissen! (Dobbiamo sapere, sapremo!). Venne poi presentata la lista dei cosiddetti sette problemi del millennio. La soluzione di ciascuno di essi comportava un premio in denaro di un milione di dollari. Il primo ad essere enunciato fu proprio la Congettura di Poincaré.
L’11 novembre de 2002, nel database ad accesso libero arXiv.org, Grisha Perelman pubblicò un articolo dal titolo The entropy formula for the Ricci flow and its geometric applications (La formula dell’entropia per il flusso di Ricci e le sue applicazioni geometriche) dove si legge:
“Presentiamo un’espressione monotona per il flusso di Ricci valida in tutte le dimensioni e senza le ipotesi di curvatura. […] Verifichiamo anche diverse asserzioni relative al programma di Richard Hamilton per la dimostrazione della congettura di geometrizzazione di Thurston per 3-varietà chiuse e forniamo uno schizzo di una dimostrazione di questa congettura.”[8]
Il mondo della matematica fu scosso profondamente e i più brillanti matematici iniziarono freneticamente a studiare e cercare di decifrare quelle criptiche 39 pagine. Il 10 marzo del 2003 apparve un secondo articolo, questa volta di 22 pagine, e dal contenuto estremamente tecnico intitolato Ricci flow with surgery on three-manifolds (Flusso di Ricci con chirurgia sulle 3-varietà). Il 17 luglio dello stesso anno, Perelman presentò il suo terzo, e ultimo, articolo presentando un ulteriore risultato analitico in sole sette pagine. Iniziò così il lungo ed estenuante processo di verifica da parte della comunità scientifica, che terminerà con una risposta positiva solamente nel 2006. La congettura era stata dimostrata.
Nello stesso anno un comitato di nove matematici votò per assegnare la prestigiosa medaglia Fields a Perelman “i suoi contributi alla geometria e le sue intuizioni rivoluzionarie sulla struttura analitica e geometrica del flusso di Ricci”. E ancora una volta Perelman lascia senza parole l’ambiente della matematica mondiale: rifiuta il premio. Il Presidente dell’Unione Matematica Internazionale Sir John M. Ball aveva cercato di convincerlo in tutti i modi di accettare il riconoscimento, passando addirittura più di dieci ore in due giorni a colloquio con Perelman. Due settimane più tardi il matematico russo riassunse la conversazione in questo modo:
“Mi ha proposto tre alternative: accettare e venire; accettare e non venire, e di inviare la medaglia più tardi; non accettare. Fin dall’inizio gli dissi che avevo scelto la terza. Per me [il premio] era del tutto irrilevante. Se la prova è corretta, non è necessario alcun altro riconoscimento."[4]
L’Istituto Clay impiega altri quattro anni prima di annunciare l’assegnazione del premio da un milione di dollari. Grigorij questa volta ci pensa davvero ma alla fine rifiuta anche questo, ulteriore, riconoscimento. Le motivazioni reali e documentate sono ancora oggi sconosciute. Ma come scrisse Poincaré:
“Lo scienziato non studia la natura perché è utile; la studia perché se ne delizia, e se ne delizia perché è bella. Se la natura non fosse bella, non varrebbe la pena conoscerla, e se non valesse la pena di essere conosciuta, la vita non varrebbe la pena di essere vissuta.”[9]
Note e bibliografia:
[1] D. O’Shea La Congettura di Poincaré Rizzoli (traduzione di Daniele Didero)
[2] http://www.imo-official.org/participant_r.aspx?id=10481
[3] M. Gessen Perfect Rigor. Storia di un genio e della più grande conquista matematica del secolo, Carbonio Editore (tradizione a cura di Olimpia Ellero).
[4] S. Nasar, D. Gruber Manifold Destiny: A legendary problem and the battle over who solved it¸The New Yorker, August 28, 44-57
[5] Grigori Yakovlevich Perelman in MacTutor Hisotry of Mathematics
[6] R. Courant, H. Robbins Che cos’è la matematica? Introduzione elementare ai suoi concetti e metodi Bollati Boringhieri (2000)
[7] J. Milnor The Poincaré Conjecture
[8] G. Perelman The entropy formula for the Ricci flow and its geometric applications arxiv.org/abs/math/0211159
[9] https://mathshistory.st-andrews.ac.uk/Biographies/Poincare/quotations/