La lunga strada verso il Nobel: dalle variabili nascoste al Premio.

Quando il dibattito sulla meccanica quantistica sembrava ormai chiuso fu John Bell a riaprirlo, formulando il teorema e le disuguaglianze che portano il suo nome. La prima prova sperimentale fu eseguita nel 1972 da John Clauser, ma è nel 1982 con Alain Aspect che si ha avuto una notevole spinta a favore della meccanica quantistica. Intanto si stava delineando il periodo di quella che è stata definita come la seconda rivoluzione quantistica e che vide in Anton Zeilinger uno dei suoi maggiori esponenti.


Un richiamo al paradosso EPR

Nel loro famoso articolo del 1935 Einstein, Podolsky e Rosen (EPR) proposero un esperimento mentale (Gedankenexperiment) atto a dimostrare la non completezza della meccanica quantistica secondo l’interpretazione di Copenaghen. I tre avevano immaginato che due particelle A e B, supposte inizialmente interagenti, erano posizionate a una distanza sufficientemente grande in modo da rendere impossibile la loro mutua interazione.
Dato che le due particelle erano correlate, sostenevano che misurando una proprietà della prima particella, come la posizione, era possibile predire con certezza la posizione della seconda particella. Il loro fine ultimo era quello di dimostrare che la seconda particella possedesse già valori determinati ancora prima che la misura avesse luogo perché, altrimenti, l’informazione avrebbe dovuto essere istantaneamente trasferita, violando così il principio di Relatività. La naturale conseguenza secondo Einstein et al. è che la meccanica quantistica è una teoria incompleta perché non è in grado di descrivere la realtà in toto ma soltanto alcuni suoi aspetti. 
La risposta del maggiore esponente dell’interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica, Niels Bohr, arrivò lo stesso anno, sulla stessa rivisita e con lo stesso titolo di quello EPR dove affermò che non si poteva parlare di proprietà di singole particelle anche quando queste sono poste a grandi distanze le une dalle altre. Fu Erwin Schrödinger il primo che si rese conto che alla base del paradosso EPR c’era il concetto di entanglement (traducibile in italiano con il termine intrecciato).
Dunque, per Einstein e i colleghi il concetto di realismo locale, cioè che per particelle casualmente disconnesse non ci siano conseguenze sulla prima in relazione a quello che viene fatto sulla seconda e viceversa, era un principio irrinunciabile. Ma la meccanica quantistica contraddice il realismo locale, si parla infatti di località. Un modo per non rinunciare al realismo locale e contemporaneamente accettare la proposta EPR era quella della cosiddetta teoria delle variabili nascoste.


Fare l’impossibile

Verso la fine degli anni Quaranta del Novecento la quasi totalità dei fisici propendeva per la versione di Niels Bohr: la meccanica quantistica sembrava essere una teoria completa e l’interpretazione di Copenaghen ne descriveva appieno l’essenza. Ma ancora nel marzo 1947 Einstein scriveva a Max Born:
Non possono credere seriamente alla teoria dei quanti perché non si concilia con l’idea che la fisica debba rappresentare un elemento di realtà nel tempo e nello spazio, libera da azioni fantasma a distanza (spooky actions at distance)”. [1]
Con il termine “azioni fantasma a distanza” (spukhafte Fernwirkungen) si intende quando una proprietà di un sistema in una certa regione acquisisce un determinato valore in virtù di una misura effettuata in un’altra regione distante dalla prima.
D’altro canto, discutendo sui futuri scenari della fisica, nell’opera “Filosofia naturale della causalità e del caso” (1949) Max Born scriveva:
Mi aspetto che dovremo sacrificare alcune delle idee correnti e servirci di metodi ancora più astratti. Tuttavia, queste sono solo opinioni. Un contributo più concreto a questo problema è stato dato da John von Neumann nella sua brillante opera Fondamenti Matematici della Meccanica Quantistica. Egli propone la teoria su una base assiomatica, derivandola da pochi postulati di carattere generale (…) Ne risulta che il formalismo della meccanica quantistica è unicamente determinato da questi assiomi; in particolare, non è possibile introdurre dei parametri occulti grazie ai quali la descrizione indeterministica potrebbe divenire deterministica. Pertanto, se una teoria futura dovesse essere deterministica, essa non potrebbe essere una modificazione della teoria attuale, ma dovrà essere radicalmente diversa da questa.” [2]

I “parametri occulti” presentati da Born non sono altro che quelle variabili nascoste (nascoste perché inaccessibili alle misurazioni) che potevano essere invocate per fornire una spiegazione ai fenomeni della teoria quantistica, stratagemma che nasceva per preservare il determinismo e la località. Certamente una teoria in tal senso doveva riprodurre tutti i risultati sperimentalmente confermati dalla meccanica quantistica. Secondo [Mermin,1993] molte generazioni di studenti si sono scontrate con una “famosa falsa partenza”. Infatti, nel 1932 John von Neumann, uno dei fisici e matematici più geniali del secolo scorso, aveva dimostrato l’impossibilità di costruire una teoria delle variabili nascoste, o meglio che nessuna teoria
deterministica era in grado di riprodurre le previsioni statistiche della meccanica quantistica. Già tre anni dopo, nel 1935, la matematica tedesca Grete Hermann mosse una critica per un’evidente carenza nelle argomentazioni usate da von Neumann, ma il suo lavoro fu completamente ignorato. Passarono più di trent’anni prima che qualcuno rimettesse in discussione i risultati e dimostrasse che una delle ipotesi usate non erano giustificate.
Sembrava che niente potesse mettere in discussione la versione di Copenaghen della meccanica quantistica.

Ma nel 1952 accadde l’impossibile. Fu nei lavori di David Bohm.[3]

David Bohm dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale fu chiamato come professore all’Institute for Advanced Study, dove entrò in stretto contatto con Albert Einstein. Negli Stati Uniti di quegli anni vigeva la politica maccartista e Bohm attraversò tristi vicende personali a causa dei suoi precedenti legami con il Partito Comunista (CPUSA), fino ad arrivare ad essere sospeso da Princeton. Riuscì a trovare una posizione all’Università di San Paolo in Brasile. Nel 1951 pubblicò “Teoria Quantistica”, uno dei primi libri in cui veniva preso in esame tutti i principali aspetti del dibattito sui fondamenti. Era, però, inusuale nel suo ambiente perché venivano preferite le parole alle equazioni. Il grande fisico teorico Eugene Wigner commentò l’opera con un conciso: “Troppo chiacchiericcio”. [4]
Qui Bohm accettò completamente il formalismo dell’interpretazione di Copenaghen ma fornì anche una nuova formulazione del paradosso, l’EPR-B, sostituendo a posizione e impulso le componenti dello spin ½.
Per la sua generalità questa versione è diventata quella normalmente usata. Per il suo esperimento Bohm considera una coppia di atomi con spin ½, con stato totale di spin nullo, che vengono generati da un dispositivo sorgente e poi mandati a una coppia di particolari analizzatori detti di Stern-Gerlach.
Si supponga di aver eseguito una misura di una particella A lungo una certa direzione. Se si trova che A ha spin parallelo alla direzione lungo la quale abbiamo misurato, allora per la particella B si avrà che tale
componente di spin sarà antiparallela alla suddetta direzione. Così si può sistemare l’apparato sperimentale in modo tale da predire il valore della componente dello spin della particella B senza dover interagire con essa. Alla stessa maniera si può predisporre l’apparato di misura in modo tale che si possa prevedere ogni componente dello spin della particella B. Questo passaggio si può immaginare di farlo mentre le particelle sono in volo per raggiungere la zona in cui si effettuano le misure. La conclusione è sempre la stessa: tutte le componenti dello spin di ogni particella sono definite a priori e questo va in contrasto con la formulazione della meccanica quantistica.
Ma la svolta era dietro l’angolo. Bohm nel luglio dello stesso anno presentò una coppia di articoli, che verranno poi pubblicati nel 1952, dove cambiò radicalmente idea:

Bohm sembrava aver avuto una conversione alla San Paolo sulla via, non di Damasco, ma di Copenaghen.” [5]

Bohm fu il primo a proporre una teoria deterministica a variabili nascoste del tutto equivalente alla teoria quantistica che riuscisse anche a spiegare i risultati sperimentali. Nel suo primo articolo scrisse:

In questo articolo e in un successivo viene proposta un’interpretazione della teoria quantistica in termini di variabili nascoste. Si dimostra che fintanto che la teoria matematica mantiene la sua attuale forma generale, questa interpretazione porta a risultati esattamente identici per tutti i processi fisici rispetto all’interpretazione usuale. (…) Poiché queste variabili non sono ora incluse ella teoria quantistica e non sono ancora state sperimentalmente rilevate, Einstein ha sempre considerato la forma attuale della teoria quantistica come incompleta pur ammettendone la coerenza interna. La maggior parte dei fisici ha ritenuto che obiezioni come quelle di Einstein non siano pertinenti, in primo luogo perché la forma attuale della
teoria quantistica con la sua interpretazione probabilistica è in ottimo accordo con una gamma estremamente ampia di esperimenti e, in secondo luogo, perché non sono ancora state proposte interpretazioni alternative coerenti. La proposta di questo articolo è di suggerire proprio questa interpretazione alternativa.
[6]

E di seguito presentò una versione più coerente e matematicamente più soddisfacente del modello dell’onda pilota presentato da Louis de Broglie al Congresso Solvay del 1927. L’idea alla base era che nella meccanica quantistica la funzione d’onda fosse un’onda di probabilità astratta mentre nella teoria di de Broglie-Bohm è un’onda reale e fisica (campo) che guida le particelle. Nella teoria di Bohm le variabili nascoste sono semplicemente le coordinate di queste particelle.
È interessante notare che mentre Bohm cita nei ringraziamenti solo Einstein “per le numerose discussioni interessanti e stimolanti”, quest’ultimo non salutò con gioia il lavoro del fisico americano. In una lettera
indirizzata al solito Born scrisse:

Hai visto che Bohm, come del resto De Broglie venticinque anni fa, pensa di poter reinterpretare la teoria dei quanti in senso deterministico? Mi sembra una soluzione troppo a buon mercato.” [7] In effetti ad Einstein non poteva andar bene una tale proposta per il semplice motivo che la teoria di Bohm era “spettacolarmente non locale”. [8]

Più brutale fu Wolfgang Pauli, il padre del principio di esclusione, che la bollò come metafisica.

Si riapre il dibattito

Il nuovo modo di vedere le cose comporterà un salto di immaginazione sorprendente. In ogni caso sembra che la descrizione quantistica verrà superata. In questo senso essa è come tutte le teorie fatte dall’uomo ma, in una misura insolita, il suo destino ultimo è già visibile nella sua struttura interna. Porta in sé stessa i germi della sua distruzione.[9]

Quando Bohm dimostrò che era possibile avere un’alternativa all’interpretazione di Copenaghen, questa deteneva il monopolio intellettuale ed era vista come l’unica e vera formulazione della meccanica quantistica; perciò, la sua venne o attaccata o ignorata. Quello che Einstein voleva era, probabilmente, l’emergere di un nuovo grande principio al pari di quello di conservazione. Invece quello che fu proposto da Bohm fu un’interpretazione non locale, come già detto, che richiedeva ancora una volta una trasmissione istantanea.
Chi riaccese l’interesse verso un dibattito che si pensava concluso fu il fisico di Belfast John Stewart Bell.
Bell riconosceva la straordinaria capacità della meccanica quantistica di spiegare le proprietà a livello microscopico, ma riteneva la versione corrente incompleta ed è tale per i problemi associati al ruolo decisivo che l’atto di misura riveste. Era un grande sostenitore della teoria proposta da de Broglie-Bohm e scrisse:

Non è essenziale introdurre una vaga suddivisione del mondo di questo tipo (in macroscopico o microscopico). Ciò era già stato indicato da de Broglie nel 1927, quando egli rispose all’enigma «onda o particella» con l’affermazione «onda e particella». Ma, nel momento in cui questo fu completamente chiarito da Bohm nel 1952, pochi fisici teorici erano disposti a sentirne parlare. La linea ortodossa sembrava totalmente giustificata dal successo pratico. Persino oggi la rappresentazione di de Broglie-Bohm è generalmente ignorata, e non viene insegnata agli studenti. La rappresentazione di de Broglie-Bohm elimina la necessità di suddividere in qualche modo l’universo in sistema ed apparato. [10]

Commentando la posizione critica di Einstein disse:

Credo cercasse una riscoperta più profonda dei fenomeni quantistici. L’idea che si potessero aggiungere solo alcune variabili e che il tutto rimanesse invariato a parte l’interpretazione, che era una banale aggiunta alla meccanica quantistica ordinaria, doveva essere una delusione per lui.” [11]

Ma chi era questo giovane fisico nord-irlandese che secondo alcuni è l’autore di uno dei lavori più importanti della storia dell’intera fisica? John Bell nacque da una famiglia tutt’altro che ricca.

La sua infanzia era molto lontano dalla confortevole educazione borghese dei pionieri della meccanica quantistica.[12]

Nel 1944, a soli sedici anni e con i genitori che non potevano finanziare i suoi studi universitari, trovò lavoro come assistente nel laboratorio del dipartimento di fisica della Queen’s University. In breve tempo il suo talento e le sue capacità vennero riconosciute e premiate con una borsa di studio. Si dimostrò uno studente eccezionale e nel 1948 si laureò in fisica sperimentale, per poi ottenere il dottorato a Birmingham. Si trasferì al CERN di Ginevra dove lavorò alla progettazione degli acceleratori di particelle, nonostante sia universalmente riconosciuto come un teorico dei fondamenti della meccanica quantistica. Sembra che fosse orgoglioso di definirsi “ingegnere quantistico”.

Il teorema di Bell

Il paradosso EPR-B ebbe un’importante evoluzione nel 1964 con il celebre lavoro di Bell “Sul paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen”. Quello che tentava di fare era scoprire se la non località fosse una caratteristica specifica del modello di Bohm oppure di tutte le teorie a variabili nascoste che puntassero alla riproduzione dei risultati della meccanica quantistica. Scrisse in merito:

Questa particolare interpretazione (si riferisce alla teoria di Bohm) ha una struttura fortemente non locale, e questo è un aspetto caratteristico, secondo il risultato che sarà dimostrato qui, di una qualsiasi teoria che riproduca esattamente le previsioni quantistiche.[13]

Il succo del lavoro di Bell può essere riassunto nella seguente maniera: una teoria locale (cioè dove le azioni a distanza non sono istantanee) delle variabili nascoste è incompatibile con le previsioni statistiche della meccanica quantistica, mentre risultano compatibili con esse teorie non-locali. Queste relazioni sono governate da quello che è chiamato Teorema di Bell e dalle sue disuguaglianze. Ma il più grande merito di Bell fu quello di aver indicato la via di come verificare a livello sperimentale l’ipotesi EPR. Infatti, come diceva Richard Feynman:

Non importa quanto sia bella la tua ipotesi, non importa quanto intelligente sia la persona che l’ha formulata o quale sia il suo nome. Se non è in accordo con gli esperimenti è sbagliata. In questa semplice affermazione c’è la chiave della scienza.[14]

Prima di lui, infatti, quello che rimaneva del dibattito tra Bohr ed Einstein era circoscritto a un battibecco poco più che accademico e molti condividevano l’opinione di Pauli che troviamo in una lettera rivolta a Born nel 1954:

Non ci si dovrebbe arrovellare più sul problema se qualcosa, di cui non si può sapere nulla, esista o meno, come per nell’antica questione di quanti angeli siano in grado di sedersi sulla punta di un ago.[15]

Figura 1: John Stewart Bell, secondo alcuni autore di una delle più profonde scoperte della Scienza, che
gioca con una palla di vetro con la neve dentro. Credits Physics Today

 

Entriamo leggermente più nel dettaglio. Nell’articolo Bell, partendo dalla versione EPR proposta da Bohm, introduce dei parametri supplementari (variabile nascosta) che indica con λ (è del tutto indifferente se denota una singola variabile, un insieme di variabili o un insieme di funzioni) e definisce una distribuzione di probabilità p(λ) per un insieme di coppie emessa dalla sorgente (si veda descrizione dell’esperimento mentale EPR-B). Inoltre, effettuando delle misure, i risultati per una data coppia sono date da funzioni A(λ,a) e B(λ,b) (dove a e b indicano le direzioni in cui sono posizionati gli strumenti di misura) che insieme alla p(λ) definiscono completamente la teoria. Se si va a calcolare i coefficienti di correlazione lungo diverse direzioni a,a’,b,b’ si ottiene che sono sempre compresi tra i valori ± 2 (disuguaglianza di Bell).
Ma il lampo di genio di Bell è quello di proporre di cambiare l’orientamento relativo tra i due rilevatori e di dimostrare che esiste una certa dipendenza dall’angolo che si forma tra di questi, ottenendo così che per certi valori la meccanica quantistica predice coefficienti di correlazioni che sono al di fuori dell’intervallo indicato dalla disuguaglianza di Bell.
Allora la questione, ridotta ai suoi minimi termini, è la seguente: se la disuguaglianza di Bell fosse valida la tesi di Einstein, secondo cui la meccanica quantistica era una teoria incompleta, sarebbe risultata corretta.
Ma se fosse violata avrebbe avuto ragione Bohr. Secondo [Kumar] il lavoro non ebbe inizialmente la giusta risonanza per un motivo curioso. La rivista più famosa in quegli anni era già Physics Review Letters pubblicata dall’American Physical Society (APS) ma questa, una volta accettato di pubblicare un articolo, faceva pagare una certa quota. Bell, nel 1964, aveva preso un anno sabatico ed era ospite alla Standford University e non voleva abusare dell’ospitalità chiedendo la quota che l’APS richiedeva. Decise quindi di virare sulla scelta più economica e pubblicò il suo lavoro sulla meno letta Physics.
L’articolo di Bell fu qualcosa di completamente inaspettato e in un certo senso di incredibile. Il fisico David Mermin [in Mermin, 1985] racconta che in una occasione chiese a un illustre fisico di Princeton come avrebbe reagito, a parer suo, Einstein al teorema di Bell.

Rispose che Einstein sarebbe andato a casa e avrebbe riflettuto a lungo, forse per diverse settimane e che sarebbe stato sicuramente interessato ma molto infastidito. Aggiunse poi:

Chiunque non sia infastidito dal teorema di Bell deve essere o uno sciocco o un pazzo.[16]

Mermin continua aggiungendo un’osservazione divertente: ci sono due tipi di fisici. Quelli del primo tipo sono infastiditi dal paradosso EPR e dal teorema di Bell. Quelli del secondo (che sono la maggioranza) non lo sono ma questi sono divisi ancora in due diverse sottocategorie. I fisici “2a” spiegano perché sono infastiditi. Le loro spiegazioni tendono a non centrare il punto o contengono affermazioni fisiche che possono essere dimostrate false. Quelli “2b” non si preoccupano nemmeno e si rifiutano perfino di spiegare il perché. Secondo Mermin, la posizione di questi ultimi è inattaccabile.

 

Figura 2: John Stewart Bell e il suo famoso teorema. Credits CERN.

Dimostrare Bell

L’esistenza delle disuguaglianze di Bell, che stabiliscono un chiaro limite tra il comportamento classico e quello quantistico, e la loro violazione sperimentale sono risultati concettualmente importanti, che ci obbligano a riconoscere il carattere straordinario dell’entanglement quantistico.” [17]
Ci siamo divertiti molto.” [18] – John Clauser.

Uno dei primi fisici sperimentali che iniziarono a mostrare interesse e a pensare a un modo per costruire un esperimento per misurare stati che violavano la disuguaglianza di Bell è stato John Clauser, uno dei tre
vincitori del Premio Nobel per la fisica di quest’anno.
Clauser era un giovanissimo studente alla Columbia University, che già aveva una sua personale opinione sull’importanza di ottenere prove sperimentali per la disuguaglianza di Bell e per l’esperimento EPR, quando entrò nell’ufficio di Bob Serber per chiedere un’opinione sull’esperimento EPR-B e sul teorema di Bell. Al che lui rispose:

Nessuno sperimentale decente si sforzerebbe mai di provare a misurarlo. [19]

Nel suo articolo teorico Bell ipotizzò un apparato sperimentale ideale per la misurazione di due particelle in uno stato entangled ma le condizioni di una perfetta correlazione, così come erano richieste, erano inattuabili. Fu solo dopo quattro anni di lavoro che 1969 John Clauser, Michael Horne, Abner Shimony e Richard Holt generalizzarono il risultato di Bell in modo tale da poter essere applicato a esperimenti fisicamente realizzabili:

Il teorema di Bell, che dimostra che alcune previsioni della meccanica quantistica sono incoerenti con l’intera famiglia delle teorie locali a variabili nascoste, viene generalizzato in modo da essere applicato a esperimenti realizzabili. Un’estensione dell’esperimento proposta da Kocher e Commins sulla correlazione di polarizzazione di una coppia di fotoni ottici fornirà un test decisivo tra la meccanica quantistica e le teorie locali a variabili nascoste.” [20]

Qui derivarono quella che è nota come disuguaglianza CHSH, che prese il posto di quella di Bell nei molti test condotti successivamente da altri gruppi. Clauser si mise immediatamente al lavoro insieme a Stuart Freedman per effettuare il primo test sperimentale della disuguaglianza. Ha raccontato:
Parte del motivo per cui volevo testare quelle idee era perché stavo ancora cercando di capirle. Trovavo le previsioni sull’entanglement sufficientemente bizzarre da non poterle accettare senza vedere le prove sperimentali. Prima che io e Freedman facessimo il primo esperimento anch’io pensavo che la fisica delle variabili nascoste di Einstein potesse essere giusta e volevo scoprirlo. Trovavo le sue idee molto chiare, mentre quelle di Bohr piuttosto confuse e difficili da capire.” [21]

 

 

Figura 3: John Clauser mentre lavora alll'esperimento che lui e Stuart Free- dman costruirono per testare il
teorema di Bell negli anni '70. Credits Steve Gerber Berkeley Lab.

O ancora:

Mi stavo divertendo. Era stimolante. Pensavo che fosse un esperimento importante all’epoca anche se tutti mi dicevano che ero pazzo e che avrei rovinato la mia carriera. E in un certo senso fu così: non sono mai stato professore. Ma mi sono divertito molto a fare della fisica davvero impegnativa. E non avevamo soldi, così io e Freedman abbiamo dovuto costruire tutto da zero: abbiamo passato molto tempo in officina a
costruire quello che ci serviva
.” [22]

Clauser incontrò l’opposizione e la diffidenza di molti colleghi che ritenevano, in un certo senso inutile, verificare la possibilità che la meccanica quantistica non potesse fornire previsione corrette. Richard Feynman fu uno di loro. È lui che racconta [23] che nel periodo in cui stava eseguendo il primo test sperimentale delle previsioni CHSH andò al Caltech a chiedere un colloquio a Feynman per alcune questioni di carattere tecnico.
Feynman sembrava molto offeso e impaziente. Quando gli disse che stava facendo un esperimento per testare le previsioni della meccanica quantistica per la configurazione EPR lo cacciò dall’ufficio dicendo “Bene! Torna quando avrai trovato un errore nelle previsioni sperimentali della teoria quantistica e possiamo parlare del tuo problema.”
In effetti è proprio quello che fece. Nel 1972 Stuart Freedman e John Clauser firmarono il primo storico lavoro [24] in cui mostrarono “una forte evidenza contro le teorie delle variabili nascoste locali”. Nell’esperimento al posto degli elettroni furono usati coppie di fotoni entangled.
Questo scambio è possibile per due motivi: i fotoni hanno una proprietà, chiamata polarizzazione, che ai fini pratici gioca lo stesso ruolo dello spin e, soprattutto, sono più facili da produrre in laboratorio. Tramite emissione atomica, scaldando atomi di cesio, hanno creato la coppia di fotoni entangled che sono spediti in direzione opposta a dei detector che misurano la loro polarizzazione. Per la prima parte dell’esperimento i due detector sono orientati a 22.5 gradi uno dall’altro, per poi essere riallineati a 67.5 gradi. Dopo più di 200 ore di misure, i due trovarono che il fattore di correlazione dei fotoni violavano la disuguaglianza di Bell. La meccanica quantistica sembrava avesse avuto la meglio sul realismo locale di Einstein. Ma c’erano forti dubbi sulla validità del risultato.
Dal 1972 al 1977 differenti gruppi condussero un totale di nove differenti esperimenti sulla disuguaglianza di Bell. Solo due hanno dato come verdetto una non violazione, entrando quindi in conflitto con i risultati di Clauser e Freedman. [25]
Gli esperimenti in quei tempi soffrivano sostanzialmente di due problemi: i detector per la rilevazione non erano molto efficienti le e sorgenti erano difficili da controllare. D’altronde “è la tecnologia che ogni tanto dà alla scienza; deve essere in tutti e due i versi la corrispondenza. [26]
Chi intraprese la strada di implementare schemi sperimentali più sofisticati, dedicando molti sforzi allo sviluppo di una sorgente di fotoni entangled, stabile e ad alta efficienza, furono Alain Aspect, Philippe Grangier e Gérard Roger dell’Institut d'Optique Théorique et Appliquée di Orsay.

Figura 4: A sinistra Alain Aspect in laboratorio. Credits Collections, Ecole polytechnique


Alain Aspect, che ha condiviso il premio Nobel con Clauser, ha raccontato di come si è approcciato al teorema di Bell per la prima volta:

Volevo assolutamente fare un esperimento «in cui le impostazioni vengono modificate durante il volo delle particelle» come suggerito nell’articolo, e avevo convinto un giovane professore dell’Institut d’Optique, Christian Imbert, a sostenere il mio progetto e ad essere il mio relatore di tesi. Ma mi consigliò prima di andare a Ginevra e di discutere la mia proposta con John Bell stesso. Mi presentai così nell’ufficio di John al CERN. Mentre spiegavo come realizzare il mio esperimento, lui mi ascoltava in silenzio. Appena finito, con il suo celebre senso dell’umorismo mi chiese «Hai un posto fisso?» (domanda fatta per rimarcare quel periodo di opposizione che aveva vissuto anche Clauser in prima persona). Dopo la mia risposta affermativa, iniziammo a parlare di fisica e mi incoraggiò moltissimo.[27]

Il solito [Kumar] riporta una nota molto suggestiva: quando Aspect ottenne il dottorato, nella commissione esaminatrice era presente anche Bell.
Esattamente come Clauser, Aspect misurò la correlazione della polarizzazione di coppie di fotoni entangled che si muovevano in direzioni opposte dopo essere state emesse da atomi di calcio. Questo lavoro portò  alla pubblicazione di un primo importante lavoro [28] dove vennero presentati risultati che erano in forte accordo con le previsioni della meccanica quantistica e che “portarono alla più grande violazione delle disuguaglianze di Bell generalizzate mai ottenuta prima”. Qui per la prima volta venne descritto un nuovo schema sperimentale, una versione ottica del classico filtro di Stern-Gerlach. I tre proseguirono i loro studi, che culminarono in un esperimento diabolicamente sofisticato [29] dove l’orientamento dei rilevatori cambiava durante il volo dei fotoni dalla sorgente ai rilevatori stessi (volo che durava circa 20 nanosecondi). Un ulteriore risultato che sembrava dell’incredibile era che i due fotoni risultavano ancora correlati a una distanza di 12 metri.

Figura 5: Il setup sperimentale usato negli esperimenti del 1982 di Alain Aspect. Credits Physics Today
in "Is the Moon There When Noboby Looks?" di Davd Mermin.


Ma come sottolinea lo stesso Aspect [30] erano aperte diverse scappatoie o quelli che in gergo sono detti loopholes. In particolare, per un sostenitore rigoroso delle teorie a variabili nascoste è presente il loophole del campionamento: dato che nel conteggio delle coppie si perdono fotoni, esiste la possibilità che siano proprio questi fotoni persi a soddisfare l’equazione di Bell. Ma poiché queste coppie rappresentano solo una piccolissima frazione del numero totale, si dovevano osservare discrepanze significative tra le previsioni della meccanica quantistica e i loro risultati.
Insomma:
“Questo esperimento presentava abbastanza imperfezioni da lasciare aperta la possibilità di modelli di parametri supplementari ad hoc che soddisfino la causalità di Einstein.” [31]

Il secondo è invece più sottile. Bell diceva che si dovevano effettuare scelte casuali nelle rotazioni dei rilevatori. Ma allora potrebbe esistere un processo “segreto” che è stato messo in moto all’inizio
dell’esperimento per determinare come i rilevatori si possano posizionare? Si parla esplicitamente di locality loophole.
I loopholes furono chiusi definitivamente nel 2015 da tre gruppi distinti, uno dei quali guidato da Anton Zeilinger. Quest’ultimo portò all’esasperazione il concetto di casualità in un esperimento del 2017 quando ha guidato un gruppo che ha utilizzato per l’esperimento fotoni emessi da stelle lontane qualche centinaio di anni luce. Se c’era qualcosa di segreto che stava creando l’entanglement avrebbe dovuto iniziare molti secoli prima che gli sperimentatori nascessero. Nel 2018 replicò ancora una volta prendendo come sorgente quasar lontani miliardi di anni luce. [32]
C’è comunque da osservare che gli esperimenti del gruppo di Orsay sembravano mettere finalmente un punto fermo: la meccanica quantistica è non locale e non è possibile costruire una teoria con delle variabili nascoste. Aspect, durante la prima intervista telefonica rilasciata all’organizzazione Nobel, mette l’accento su una giusta questione:

“C’è un punto che vorrei chiarire. Quando la gente dice «il dibattito tra Einstein e Bohr è stato risolto in favore di Bohr» mi piace dire che Einstein ha il grande, grandissimo merito di aver sollevato la questione. E se oggi sappiamo così tante cose sull’entanglement e vogliamo usarlo per la tecnologia dobbiamo dare merito anche a Einstein. Non c’è uno che vince e l’altro che perde. Bohr vince sotto un certo punto di vista, ma Einstein vince perché ha individuato qualcosa di straordinario.” [33]

La seconda rivoluzione quantistica: da Roma a Innsbruck


Penso non sia esagerato dire che la percezione dell’importanza dell’entanglement e la chiarificazione della descrizione quantistica di oggetti singolo sono state alla base di una seconda rivoluzione quantistica, e che John Bell ne è stato il profeta.[34]
Quando ho iniziato a studiare la fluorescenza parametrica impulsata per il teletrasporto, in Italia eravamo gli unici a lavorare su questi argomenti. Competevamo con altri sei o sette gruppi in tutto il mondo, compreso quello di Zeilinger.” [35]
L’entanglement è il fenomeno fisico che governa il settore sempre in espansione dell’informazione quantistica e che ha visto in Anton Zeilinger una delle figure centrali nel suo sviluppo tecnologico. Il fisico austriaco, il terzo e ultimo vincitore del Nobel per la fisica di quest’anno, si è speso molto sia dal punto di vista teorico che sperimentale. Impossibile non nominare il contributo che ha dato insieme a Daniel Greenberger e Michael Horne al campo dell’entanglement a molte particelle. I tre furono i primi a generalizzare il teorema di Bell attraverso esperimenti che coinvolgevano tre o più particelle entangled (teorema GHZ) anziché a due. Questo rappresenta la contraddizione più evidente tra il realismo locale di Einstein e la meccanica quantistica.

Figura 6: Anton Zeilinger. Credits Kronen Zeitung Roland Schlager-APA picturedesk.


Probabilmente il suo risultato più famoso è stata la sua realizzazione del teletrasporto quantistico (1997) che è una tecnica per traferire informazione da una posizione all’altra, poste a una certa distanza. Il teletrasporto nella letteratura fantascientifica è visto come un trasporto istantaneo della materia ma Zeilinger dice immediatamente che non è così:

Conosciamo tutti il teletrasporto alla Star Trek, dove è qualcuno che viene trasportato. Il teletrasporto nella meccanica quantistica è invece diverso. È un trasferimento di informazione, che in fondo è ciò che definisce tutto.” [36]

In realtà un esperimento sul teletrasporto quantistico, in una versione leggermente diversa proposta da Sandu Popescu e Lucien Hardy, era stato fatto per la prima volta a Roma da Francesco De Martini, Danilo Boschi e Salvatore Branca. I gruppi di Zeilinger a Innsbruck e di De Martini a Roma usarono la medesima tecnica per la creazione di coppie di particelle entangled tramite la fluorescenza parametrica (brutalmente, un fotone ad energia più elevata che passa attraverso un cristallo non lineare viene convertito in una coppia di fotoni a energia minore.
Questa tecnica era già nota a Roma quando De Martini, verso la prima metà degli anni Novanta, aveva acquistato un cristallo non lineare, due rilevatori e cercava qualcuno per fare costruire l’esperimento. Il primo a rispondere positivamente è stato Giovanni Di Giuseppe, oggi professore associato a UNICAM, che aveva sentito delle disuguaglianze di Bell e del realismo locale durante una lezione di De Martini:

La meccanica quantistica era così folle ma il più grande grande attivatore è stato quello di costruire un laboratorio su un argomento che nessuno aveva mai fatto prima. Quello che sapevamo lo dovevamo leggere sugli articoli. Con Danilo (Boschi), che era arrivato dopo qualche mese, ci eravamo dati uno schema: la mattina lui la passava a trovare qualcosa in biblioteca e a fotocopiare, a pranzo si selezionavano gli articoli e il pomeriggio si facevano gli esperimenti. Non sapevamo a chi chiudere perché nessuno si occupava di quell’argomento. Venivano gruppi da tutta Italia per interrogarci su come avevamo risolto i problemi. Quindi, un po’ erano gli articoli e un po’ eravamo noi che inventavamo. Costruivamo l’elettronica, i software per controllarla e molte altre cose ancora. Il lavoro è stato coadiuvato da Giorgio Milani e Sandro Giacomini. È stata una buona scuola.[37]

In quegli anni il sopra menzionato Hardy aveva proposto la violazione della località senza le disuguaglianze di Bell. È stato questo uno dei primi interessi di Di Giuseppe, che ha dimostrato l’esistenza della possibilità di verificare la non località della meccanica quantistica senza l’ausilio delle disuguaglianze di Bell e senza lo stato di singoletto. [38]
Si era aperto questo nuovo filone.

Un collegamento con Camerino

Zeilinger è stato anche un grande maestro che ha formato una folta schiera di studenti. Durante la conferenza stampa in cui è stato annunciato come uno dei vincitori del Nobel ha dichiarato:

Questo premio non sarebbe stato possibile senza i 100 e più giovani che hanno lavorato con me nel corso degli anni. Che sia un incoraggiamento per loro.[39]

Uno di questi giovani è Markus Aspelmeyer, giovane fisico già affermato nel campo dell’ottica quantistica e dell’optomeccanica, che ha collaborato con il Prof. David Vitali, oggi professore a UNICAM. Vitali, Stefano Mancini e Paolo Tombesi (anche loro entrambi professori a UNCIAM) hanno scritto un importante articolo sul teletrasporto di uno stato su uno specchio [40] (e quindi materia) che ha attirato l’attenzione di Zeilinger.
Questo mutuo interesse ha portato il fisico austriaco in visita a Camerino per la conferenza internazionale “Foundations of Quantum Information” del 2004 e alla scrittura di un articolo del 2007 [41] che ha avuto un notevole riconoscimento a livello internazionale. Qui viene studiato teoricamente come ottenere stati entangled con un sistema macroscopico e viene proposto uno schema sperimentale adeguato per caratterizzarlo completamente. La sorpresa è che tale entanglement optomeccanico persiste a temperature superiori a 20 Kelvin.

Figura 7: John Clauer, Alain Aspect, e Anton Zeilinger nel manifesto per l'assegnazione
del Premio Nobel. Credits Nobel Prize.


Il Premio

Capì che esistevano forti aspettative nei loro nomi quando a una cena a Losanna per un progetto, circa otto anni fa, stavamo discutendo su chi potessero essere i vincitori del Nobel di quell’anno, nomi che. sarebbero stati annunicati pochi giorni dopo. Aspelmeyer disse che il terzetto da premiare era Clauser- Aspect-Zeilinger. Il suo nome (Zeilinger) torna alla perfezione perché partendo dalla storia delle disuguaglianze di Bell e la non località è giusto arrivare alla tecnologia che si è sviluppata attorno. C’è un legame intrinseco tra la tecnologia e la fisica fondamentale e con Zeilinger si premia un tentativo lungo una vita di implementare la crittografia quantistica, la computazione quantistica e questo tipo di fisica in generale.[42]

A John Clauer, Alain Aspect, e Anton Zeilinger “per esperimenti con fotoni entangled, stabilendo la violazione delle disuguaglianze di Bell e aprendo la strada alla scienza dell'informazione quantistica”. L’Accademia Reale Svedese delle Scienze nel 2022 ha deciso di premiare quel ramo della fisica che si occupa dei fondamenti della meccanica quantistica, e che ha visto nel lontano 1935 la genesi delle contrapposizioni con il famoso paradosso EPR.

Riferimenti bibliografici

Note:
[1] Mermin (1985)
[2] Bell S. John p. 212
[3] ibidem.
[4] Wick D. p.79
[5] Kumar M. p.321
[6] Bohm D. (1952)
[7] Bell S. John p. 122
[8] Mermin (1993)
[9] Bell S John p.37
[10] Bell S John p.227-228
[11] Kumar M. p.326
[12] Kumar M. p.324
[13] Bell S. John p.20-21
[14] Feynman R.
[15] Kumar M. p.330
[16] Mermin (1985)
[17] Aspect A. (2010) p.54
[18] Wick D. p. 115
[19] Clauser J. (2002) p.71
[20] Clauser J. et al (1969)
[21] Clauser J. intervista Caltech
[22] Clauser J. Nobel Interview
[23] Clauser J. (2002) p.71
[24] Clauser J. Freeman S. (1972)
[25] Redhead M. (1989)
[26] Da una comunicazione privata con il Prof. David Vitali
[27] Aspect (2002) p.1

[28] Aspect et al (luglio 1982)
[29] Aspect et al (dicembre 1982)
[30] Aspect (2002) p. 27-28
[31] ibidem
[32] https://www.oeaw.ac.at/en/news-1/quantum-entanglement-confirmed-with-lig...
[33] Aspect A. Nobel Interview
[34] Aspect A. (2010) p.37-38
[35] Da una comunicazione privata con il Prof. Giovanni Di Giuseppe
[36] Zeilinger A. Nobel Interview
[37] Da una comunicazione privata con il Prof. Giovanni Di Giuseppe
[38] Di Giuseppe et al (1997)
[39] Zeilinger A. Nobel Interview
[40] Mancini S. Vitali D. Tombesi P. (2003)
[41] Vitali D. et al (2007)
[42] Da una comunicazione privata con il Prof. David Vitali
Bibliografia

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  • Aspect A. Grangier P. Roger G. (dicembre 1982) Experimental tests of Bell’s inequalities using time-varying analyzers. Phys. Rev. Lett. 49, 1804.
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  • Wick D. (1995) The Infamous Boundary. Seven Decades of Heresey in Quantum Physics (Springer).
  • Zeilinger A. (2022) Nobel Interview https://www.nobelprize.org/prizes/physics/2022/zeilinger/interview/
La lunga strada verso il Nobel: dalle variabili nascoste al Premio.