Il Principio di Esclusione di Pauli

“Già nel mio articolo originale sottolineavo il fatto che non ero in grado di fornire una ragione logica per il principio di esclusione o di dedurlo da ipotesi più generali. Ho sempre avuto la sensazione, e ce l'ho ancora oggi, che questa sia una mancanza.” [1]

Nel suo intervento “Principio di esclusione e spin” [2], il matematico olandese Bartel Leendert van der Waerden scrive che nei libri di testo l’esposizione delle teorie fisiche è, almeno in una certa e obbligata misura, dogmatica: si inizia da un’ipotesi, se ne deducono le conseguenze e le si confronta con i dati sperimentali. C’è poi un tentativo di approccio che si potrebbe definire misto, cioè si mescola il dogma a osservazioni storiche, per mostrare come le ipotesi siano state effettivamente formulate. Questo approccio, riporto testualmente, “ha grandi meriti”. Bisogna allora partire da quando Wolfgang Pauli era ancora uno studente a Monaco e ai suoi sforzi per cercare di comprendere l’effetto Zeeman anomalo, ovvero la moltiplicazione delle righe spettrali in presenza di un campo magnetico. L’aggettivo anomalo è stato dato perché ogni tentativo di spiegazione, sia tramite la meccanica classica sia quella che era chiamata allora “vecchia teoria quantistica”, risultava inefficace. È lo stesso Pauli [3] che ricorda il suo rapporto con questo strano fenomeno fisico:

“Per effetto Zeeman anomalo si intende un tipo di sdoppiamento delle righe spettrali in un campo magnetico diverso dal normale tripletto. Questo tipo anomalo di sdoppiamento era, da un lato, particolarmente interessante perché mostrava leggi belle e semplici, ma dall’altro era quasi incomprensibile, poiché ipotesi molto generali sull’elettrone, sia nella teoria classica che in quella quantistica, portavano sempre al semplice tripletto. Un collega che mi incontrò mentre passeggiavo senza meta per le belle strade di Copenaghen mi disse in tono amichevole: «Sembri molto infelice», al che risposi veementemente: «Come si può sembrare felici quando si sta pensando all’effetto Zeeman anomalo?»”

In passato Hendrik Lorentz aveva spiegato come la fisica classica fosse capace di spiegare la suddivisione di una sola riga in un doppietto o in un tripletto (effetto Zeeman ‘normale’), tuttavia il modello atomico di Niels Bohr non era capace di produrre questo effetto. Arnold Sommerfeld, che di Pauli fu supervisore durante il dottorato, risolse temporaneamente il problema introducendo due nuovi numeri quantici. In questo modo il nuovo modello atomico descriveva le regole dei salti quantici da un’orbita all’altra basandosi su tre numeri quantici: n, che si riferiva al livello energetico principale e alla dimensione dell’orbita; l, che definiva la forma (momento angolare orbitale) e che assumeva valori da 0 a n-1; m, che specificava l’orientamento spaziale con valori compresi tra -l e +l. Bohr aveva ipotizzato tale modello sulla base del comportamento dei gas nobili, cioè sul neon, argon, kripton, xeno e radon, con numeri atomici rispettivamente di 2, 10, 18,36,54 e 86. L’elevata energia di ionizzazione e la scarsa tendenza a formare legami chimici suggerivano che tali atomi avessero configurazioni elettroniche particolarmente stabili, caratterizzate da gusci esterni completamente occupati. D’altro canto, gli elementi chimici che li precedevano nella tavola periodica, gli alogeni e l’idrogeno, mostravano un’elevata reattività chimica. Questi elementi tendevano a formare facilmente composti acquisendo un elettrone e riempiendo l’ultimo spazio disponibile nel guscio elettronico più esterno, raggiungendo in questo modo la configurazione stabile di un gas nobile. Analogamente, i metalli alcalini perdevano il loro unico elettrone di valenza, trasformandosi in ioni positivi ancora una volta con la distribuzione elettronica analoga a quella di un gas nobile. Dunque, Bohr arrivò ad osservare che ogni elemento della tavola periodica differisce da quello precedente per l’aggiunta di un elettrone nel guscio più esterno e che solo gli elettroni di valenza (quelli più esterni) partecipano alle reazioni chimiche.  Queste furono le idee che Pauli sentì esporre da Bohr durante un ciclo di lezioni che questi tenne a Gottinga nel giugno 1922. Sommerfeld disse a Bohr che, se solo si fosse riusciti a derivare in maniera matematicamente rigorosa i numeri 2,8,18… (cioè il numero massimo di elettroni che possono essere contenuti nei livelli di un dato atomo secondo tale modello), si sarebbe arrivati alla “realizzazione delle più audaci speranze della fisica” [4]. È sempre Pauli che ricorda [1]:

“Fu all’Università di Monaco che Sommerfeld mi introdusse alla struttura dell’atomo, un concetto alquanto strano dal punto di vista della fisica classica. Non fui risparmiato dallo shock che ogni fisico, abituato al modo di pensare classico, provava quando veniva a conoscenza per la prima volta del ‘postulato fondamentale della teoria quantistica di Bohr’. All’epoca esistevano due approcci ai difficili problemi legati al quanto d’azione. Uno era il tentativo di dare un ordire astratto alle nuove idee, cercando una chiave per tradurre la meccanica classica e l’elettrodinamica in un linguaggio quantistico che ne costituisse una generalizzazione logica. In questa direzione si muoveva il ‘principio di corrispondenza di Bohr’. Sommerfeld, tuttavia, preferiva un’interpretazione diretta, il più possibile indipendente dai modelli delle leggi degli spettri in termini di numeri interi, seguendo, come fece un tempo Keplero nella sua indagine sul sistema planetario, un sentimento interiore di armonia. Entrambi i metodi, che non mi sembravano inconciliabili, mi hanno influenzato. La serie di numeri interi 2, 8, 18, 32... che danno le lunghezze dei periodi nel sistema naturale degli elementi chimici, fu discussa con zelo a Monaco, compresa l'osservazione del fisico svedese Rydberg, secondo cui questi numeri sono della forma semplice 2n^2, se n assume tutti i valori interi.” 

Nel 1923 Pauli diede la sua lezione inaugurale come Privatdozent (titolo che può essere tradotto come “libero docente”) all’Università di Amburgo sul Sistema Periodico degli Elementi. Per sua stessa ammissione, quella lezione non lo soddisfò dato che il problema dei gusci elettronici completamente occupati non era stato ancora chiarito. Ma sembrava chiaro uno stretto legame tra questo e la teoria dei multipletti. Iniziò quindi ad indagare il caso più semplice: la struttura a doppietto degli spettri degli alcali (composti organici costituiti da carbonio ed idrogeno). La spiegazione “ortodossa”, fornita cioè dal modello di Bohr, attribuiva questa struttura al momento angolare finito del nucleo. Pauli dimostrò invece che tale interpretazione andava abbandonata, bollandola come errata. 

Nell’autunno del 1924 scrisse un importante lavoro che venne pubblicato sulla Zeitschrift für Physik nel 1925. Qui Pauli dimostrò che per spiegare l’effetto Zeeman anomalo non era sufficiente considerare le correzioni relativistiche al modello di Bohr-Sommerfeld, in particolare mostrava che la variazione della massa dell’elettrone con la velocità non era sufficiente per giustificare le osservazioni sperimentali. Introdusse allora una nuova proprietà quantistica dell’elettrone che chiamò Zweideutigkeit, cioè, “una bivalenza non descrivibile classicamente” [5]:

“La struttura a doppietto degli spettri degli alcali derivano secondo questo punto di vista da una peculiare ambiguità, non descrivile classicamente, delle proprietà quantistiche dell’elettrone di valenza.”

Questo studio diventerà parte fondamentale del percorso che lo porterà, qualche mese più tardi, a formulare il principio di esclusione.

Mentre stava scrivendo questo lavoro, nell’autunno 1924 apparve sul Philosophical Magazine un articolo del fisico inglese Edmund Clifton Stoner [6] che conteneva, oltre a miglioramenti nella classificazione degli elettroni nei gusci in sottogruppi, un’osservazione che Pauli riporta testualmente:

"Per un dato valore del numero quantico principale, il numero di livelli energetici di un singolo elettrone negli spettri dei metalli alcalini in un campo magnetico esterno coincide col numero di elettroni nel guscio completo del gas nobile che corrisponde a quel numero quantico principale."

Questa osservazione ebbe un'importanza decisiva nella scoperta del principio di esclusione. Pauli la cita nella sua conferenza per il Premio Nobel e prosegue [1]:

"Sulla base dei miei precedenti risultati sulla classificazione dei termini spettrali in un forte campo magnetico, la formulazione generale del principio di esclusione divenne chiara per me."

Così sulla Zeitschrift für Physik apparve il secondo articolo di Pauli [7] dove introduceva un quarto numero quantico e annunciò il suo famoso principio:

"Non possono mai esistere due o più elettroni equivalenti in un atomo per i quali, in campi magnetici forti, i valori di tutti i numeri quantici siano gli stessi. Se un elettrone è presente nell'atomo con questi numeri quantici ben definiti, allora quello stato è ‘occupato’.”

Inizialmente neanche Pauli era certo fino a che punto il suo principio di esclusione potesse ritenersi valido. In una lettera a Bohr del 12 dicembre 1924, Pauli scrive [8]:

“La concezione da cui parto è certamente un’assurdità (…) Tuttavia, credo che ciò che sto facendo non sia un’assurdità maggiore rispetto all’interpretazione finora esistente della struttura complessa (degli spettri atomici). La mia assurdità è collegata a quella finora in uso.”

Molti scienziati trovarono però difficile comprendere il principio di esclusione, poiché non veniva fornito alcun significato fisico al quarto grado di libertà dell’elettrone. Anche Heisenberg fu inizialmente scettico, scrisse infatti in una cartolina a Pauli [8]:

“Oggi ho letto il tuo nuovo lavoro, e di certo sono io quello che si rallegra di più di tutti, non solo perché spingi la farsa a un’altezza inimmaginabile e vertiginosa (introducendo elettroni con quattro gradi di libertà), ma perché con ciò hai battuto ogni record finora esistente, superando persino gli insulti che mi hai rivolto.”

Ciò che infine permise di comprendere l’effetto Zeeman anomalo fu l’idea dello spin dell’elettrone proposta da George Eugene Uhlenbeck e Samuel Goudsmit. Pauli nutrì inizialmente forti dubbi a riguardo, tanto che bocciò la stessa idea che fu proposta mesi prima da Ralph Kronig, scoraggiando di fatto la pubblicazione. Si convinse solamente dopo alcuni calcoli ad opera di Llewellyn Thomas. Da quel momento in poi, il principio di esclusione è strettamente legato al concetto di spin. Numerosi e fruttuosi sviluppi sono stati raggiunti. Citiamo a titolo di esempio la dimostrazione della sua validità per tutte le particelle con spin 1/2, conferendone così un carattere più generale e un significato più profondo.

È ancora una volta alle parole di Pauli che ci affidiamo [3]:

“La storia del principio di esclusione è dunque lunga, ma la sua conclusione non è ancora scritta. Il progresso essenziale della fisica poggia sull’immaginazione creativa del ricercatore, sia sperimentale che teorico e, a differenza delle costose applicazioni di principi già noti, non può essere imposto attraverso una pianificazione su larga scala. Pertanto, non è possibile prevedere dove e quando avverrà l’ulteriore sviluppo dei principi fondamentali della fisica contemporanea, di cui il problema del principio di esclusione fa parte. Sappiamo, tuttavia, che questo sviluppo potrà avvenire solo nella stessa atmosfera di libera ricerca e di scambio senza ostacoli dei risultati scientifici tra le nazioni che esisteva al tempo della scoperta del principio di esclusione.”

Note:

[1] W. Pauli, Nobel Lecture. (1945) NobelPrize.org. 

[2] B. L. van der Waerden, Exclusion Principle and Spin in Theoretical Physics in the Twentieth Century. A Memorial Volume to Wolfgang Pauli edited by M. Fierz e V.F. Weisskopf, Interscience Publishers Inc. New York (1960).

[3] W. Pauli, Remarks on the History of the Exclusion Principle Science, vol. 103, No. 2669 (1946).

[4] M. Kumar, Quantum. Einstein, Bohr and the great debate about the nature of reality. W.W. Norton & Company, New York-London (2008).

[5] W. Pauli, Über den Einfluß der Geschwindigkeitsabhängigkeit der Elektronenmasse auf den Zeemaneffekt. Z. Phys., 1925, 31, 373.

[6] E.C. Stoner, The distribution of electrons among atomic levels. The London, Edinburgh, and Dublin Philosophical Magazine and Journal of Science, 48(286), 719–736 (1924).

[7] W. Pauli, Über den Zusammenhang des Abschlusses der Elektronengruppen im Atom mit der Komplexstruktur der Spektren. Z. Physik 31, 765–783 (1925).

[8] N. Straumann, Wolfgang Pauli and Modern Physics Space Sci Rev 148, 25–36 (2009).

 

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