Il più sorprendente tra gli elementi

“L’elio liquido è davvero strano. Ha tante stranissime proprietà e i fisici da molto tempo si sforzano di venirne a capo facendo un sacco di esperimenti e di ragionamenti. Il più grande passo avanti nei ragionamenti è stato fatto in Russia nel 1941 da un uomo di nome Landau.” [1]

L’elio agli scienziati è apparso sempre un elemento insolito. Lev Landau, uno dei più grandi fisici dello scorso secolo, era solito dire che il più sorprendente tra tutti gli elementi chimici era proprio l’elio.

Fu identificato per la prima volta indipendentemente dal francese Jules Janssen e dall’inglese Joseph Norman Lockyer nel 1868 durante un’eclissi solare. Analizzando lo spettro, entrambi gli astronomi osservarono una linea di emissione che associarono a un nuovo elemento. In onore del Sole, decisero di chiamarlo elio, derivando il nome dalla parola greca hèlios.

Nel 1881 in una nota [2] rilasciata dalla Società Reale di Napoli, Luigi Palmieri scrisse:

“Raccolsi una sostanza amorfa sublimata sull’orlo di una fumarola prossima alla bocca di eruzione. Saggiata questa sublimazione allo spettroscopio, ho ravvisato le righe del sodio e del potassio ed una riga lineare ben distinta che corrisponde esattamente a quella dell’Helium. Do per ora il semplice annunzio del fatto, proponendomi di ritornare sopra questo argomento, dopo di aver sottoposta la sublimazione ad una analisi chimica.” [2]

Palmieri rilevò così per la prima volta l’elio sulla Terra, ma fu solo nel 1895 che Sir William Ramsay riuscì ad isolarlo trattando la cleveite (un particolare minerale di uranio) con acido solforico.

Come la maggioranza degli elementi chimici, l’elio si presenta di differenti isotopi che si distinguono in base al numero di neutroni all’interno del nucleo. Gli unici due isotopi stabili (che non sono, cioè, soggetti a decadimento radioattivo spontaneo) in natura sono l’elio-4 (4He), detto anche ordinario vista la sua abbondanza, e un secondo isotopo, molto più raro, che viene indicato con elio-3 (3He). I moderni refrigeratori a diluizione, usati nelle tecniche criogeniche, sfruttano una miscela di elio-3 ed elio-4 per raggiungere temperature nell’ordine dei millesimi di Kelvin.

Dopo che il chimico James Dewar riuscì per la prima volta a liquefare l’idrogeno, iniziò una corsa alla liquefazione dell’ultimo elemento che ostinatamente si manteneva nello stato aeriforme persino a basse temperature: l’elio. Nel 1908, dopo più di dieci anni di tentativi, il fisico olandese Heike Kamerlingh Onnes , direttore del laboratorio di criofisica dell’Università di Leida, che verrà poi ribattezzato “la Mecca del freddo”, riuscì a portare l’elio alla temperatura di 4.2 K (-268.95° C) e ad ottenere il tanto agognato liquido. Per completare l’opera tentò anche di solidificarlo, abbassando la temperatura fino a raggiungimento del limite tecnico per l’epoca (di circa 1 K) ma ogni tentativo fallì miseramente. L’elio sembrava essere l’unico elemento chimico che non solidificava nemmeno vicino allo zero assoluto. La risposta a questo inspiegabile fatto verrà data, sfruttando la teoria quantistica, con l’introduzione del concetto di energia di punto zero. Infatti, a differenza di quelli classici, i sistemi quantistici manifestano fluttuazioni anche quando si trovano nel loro livello energetico più basso. Questo fenomeno fa sì che, anche a temperature prossime allo zero assoluto, queste fluttuazioni abbiano un ruolo predominante rispetto alle altre forze in gioco. Di conseguenza l’unico modo per costringere l’elio allo stato solido è quello di sottoporlo a pressioni elevate, in modo tale da contrastare le fluttuazioni di punto zero. Solo nel 1926 il fisico Willem Hendrik Keesom, allievo e successore nella direzione del laboratorio di Leida, riuscì a solidificare l’elio, portandolo a una temperatura di 1.05 K e alla pressione di 25 atmosfere. Ma il fatto che a normali condizioni di pressione l’elio non solidificasse non era la sola strana proprietà di questo elemento.

Già nel 1911 Kamerlingh Onnes aveva notato che la densità dell’elio raggiungeva un massimo alla temperatura di 2.2 K. Onnes si concentrò poi su una diversa linea di ricerca, che lo portò a scoprire la superconduttività (fenomeno per il quale la resistenza di un materiale precipita a zero oltre una certa temperatura critica). Sempre Onnes, insieme allo statunitense Leo Dana, riscontrarono valori elevati del calore specifico appena al di sotto la temperatura corrispondente alla densità massima. Misure più accurate furono svolte da Keesom e il suo gruppo di ricerca che osservarono un picco per il calore specifico a 2.2 K. A quella precisa temperatura qualcosa doveva succedere.

Era già noto che esistessero stati di aggregazione e fasi della materia. Tuttavia, questi due concetti non coincidono completamente: due diversi stati di aggregazione rappresentano due diverse fasi, ma due diverse fasi possono non corrispondere a due diversi stati di aggregazione. La questione allora era: a 2.2 K poteva presentarsi una fase differente?

Nel 1928 Keesom e Mieczysław Wolfke, anche se con molto cautela, introdussero una differenza tra le due forme di elio, denominando elio I quello tra i 4.2 e 2.2 ed elio II da 2.2 allo zero assoluto. Chi prese invece posizione fu Paul Ehrenfest, che sostenne che a quella specifica temperatura si verificava una transizione di fase e propose, notando la somiglianza della sagoma della curva sperimentale con la lettera greca lambda, di denominare quel punto di transizione come punto-λ. Ancora Ehrenfest, nel 1933, scrisse un articolo dove differenziava le transizione di fase di primo e di secondo tipo; quest’ultime si riferivano ai passaggi di fase all’interno del medesimo stato di aggregazione, come succedeva per l’elio.

Nel 1936 il solito Keesom e la figlia Ania annunciarono un’altra straordinaria proprietà dell’elio II: la sua conducibilità termica era centinaia di volte superiore a quella dei metalli come il rame e l’argento, noti per essere due tra i migliori conduttori conosciuti.

L’8 gennaio del 1938 sulla rivista Nature apparvero due lettere agli editori, spedite a distanza di pochi giorni l’una dall’altra. Una era firmata da Pyotr Kapitsa dell’Istituto dei Problemi fisici di Mosca, mentre l’altra da John Frank Allen e Don Misener del Laboratorio Mond della Royal Society di Cambridge.

Nella sua comunicazione [3] (di una sola pagina!) Kapitsa studiò il flusso di elio liquido attraverso una fessura molto sottile. Al di sopra dei 2.2 K l’elio non scorreva ma al di sotto di questa temperatura il flusso era così veloce che riuscì solamente a determinare un limite superiore per la viscosità. Verso la fine scrisse:

“[…] Per analogia con i superconduttori, l’elio al di sotto del punto-λ entra in uno speciale stato che potrebbe essere chiamato superfluido.”

Fu così che Kapitsa introdusse per primo il concetto di superfluido (ovvero uno stato caratterizzato dall’assenza di viscosità). Per quanto riguarda l’esattezza dell’analogia, si dovrà aspettare fino al 1957 con la teoria BCS di John Bardeen, Leon Cooper e Robert Schrieffer per comprendere la superconduttività come una superfluidità di coppie di elettroni.

Nella seconda [4] lettera Allen e Misener descrivevano una serie di misurazioni quantitative del flusso di elio in capillari estremamente sottili, scoprendo anche qui che l’elio liquido scorreva molto più velocemente al di sotto del punto di transizione. Trovarono inoltre che variando la sezione del capillare e la pressione applicata. il flusso non subiva cambiamenti significativi. Scrissero in merito:

“Sembra quindi che nessuna formula conosciuta possa, in base ai nostri dati, fornire un valore della viscosità che abbia un significato.”

È da puntualizzare che i primi lavori sulla viscosità erano già stati effettuati nel 1935 a Toronto.

Lev Landau, anni dopo, durante una conferenza divulgativa spiegò [5]:

“La proprietà più straordinaria dell’elio liquido fu scoperta dal fisico sovietico Kapitsa. Egli dimostrò che l’elio non ha alcuna viscosità. Fece un esperimento molto semplice ma eccezionalmente importante. Osservò il flusso di elio attraverso fenditure molto strette, talmente strette che anche un liquido con una viscosità bassa come l’acqua impiegava molti giorni per passarvi attraverso. L’elio liquido invece fluiva in pochi secondi. Kapitsa riuscì a dimostrare che la viscosità dell’elio è inferiore a quella dell’acqua di almeno un fattore di mille milioni, ma questo è solo un limite superiore imposto dalla precisione degli esperimenti. Possiamo dire quindi che l’elio liquido semplicemente non ha viscosità. Questo fenomeno è chiamato superfluidità e l’elio II è un superfluido. […] Sotto i 2K l’elio liquido ha la strana proprietà di spostarsi inspiegabilmente da un contenitore all’altra senza che questi siano comunicanti. La scoperta di Kapitsa spiegò il flusso, apparentemente quasi mistico, dell’elio da un contenitore all’altro. Tutti i liquidi che bagnano le pareti del contenitore le coprono con un sottile strato, invisibile all’occhio e di solito senza effetti rilevabili. L’elio liquido, a causa della superfluidità, fuoriesce piuttosto rapidamente dal contenitore.”

Il nocciolo della questione è che nessuna teoria classica era in grado di spiegare questi comportamenti. Il primo che tentò di dare una spiegazione completamente nuova fu Fritz London. Egli propose qualcosa di rivoluzionario: legò la superfluidità a quello che fino a quel momento era rilegato a una semplice curiosità teorica, il condensato di Bose-Einstein. Infatti, nel 1924, Albert Einstein estese il lavoro del teorico Satyendra Nath Bose, predicendo che un gas di bosoni (particelle con spin intero) sotto determinate condizioni occuperebbe lo stato a energia più bassa. In quel preciso periodo storico quella teoria sembrava improbabile, tanto che lo stesso Einstein scrisse [6] in una lettera a Paul Ehrenfest nel 1924:

“A partire da una certa temperatura le molecole si ‘condensano’ senza forze attrattive, ossia si raggruppano con velocità zero. La teoria è elegante, ma c’è qualcosa di vero in essa?”

L'articolo di Fritz London del 1938 pubblicato su Nature ha segnato una pagina storica: la teoria quantistica si è estesa dal mondo microscopico degli atomi a quello della materia visibile. Chi cercò di sviluppare l’idea di London fu László Tisza, inventando quello che oggi è nome come “modello a due fluidi”. Ragionando in termini di atomi che si condensavano progressivamente quando la temperatura scendeva al di sotto del punto-λ, solo a zero Kelvin tutti gli atomi si sarebbero raggruppati sullo stato a energia più bassa, mentre a ogni temperatura intermedia solo una frazione degli atomi in gioco si sarebbe condensata. Da questa visione del fenomeno, Tisza propose che l’elio superfluido dovesse essere una miscela di due componenti: una “normale” e una superfluida.

Ma nel frattempo Kapitsa aveva continuato i suoi studi sulle proprietà dell’elio liquido, ma l’Unione Sovietica stava attraversando il periodo del grande terrore: le rappresaglie di Stalin non risparmiavano nessuno, neppure il più brillante dei loro fisici teorici. Nel 1938 Landau fu arrestato con l’accusa di essere un nemico del popolo e di aver stampato e distribuito un volantino antisovietico. La stessa mattina, poche ore dopo l’arresto, Kapitsa scrisse una lettera a Stalin con la speranza di poterlo scarcerare, senza però ottenere i risultati voluti. Intanto, nel luglio del 1938, Niels Bohr, che già aveva ospitato a Copenaghen il giovane Landau, inviò una lettera dove lo invitava a soggiornare nuovamente nella capitale danese. Non avendo ricevuto alcuna risposta, Bohr fece recapitare tramite l’ambasciatore sovietico in Danimarca una lettera a Stalin che recitava [7]:

“M permetto di richiamare la sua attenzione su uno dei fisici più eminenti della nuova generazione: il professor L.D. Landau. Ho tentato di contattare il prof. Landau con l’aiuto dell’Accademia Sovietica delle Scienza, di cui ho l’onore di fare parte. Sfortunatamente la risposta non mi fornisce alcun dettaglia riguardo l’attuale residenza o il destino del prof. Landau. Tutto ciò mi fa temere non poco per la sua sorte, poiché di recente mi sono giunte voci del suo arresto. Mi auguro con tutto il cuore che queste voci siano infondate. Perché, se non lo fossero, allora sono sicuro che non potrà trattarsi d’altro che di un malinteso. Se anche ci fosse stato un equivoco, spero vivamente che al prof. Landau venga data la possibilità di continuare il proprio lavoro scientifico, così importante per il progresso dell’umanità.”

La situazione si risolse solamente quando Kapitsa scrisse una lettera [8] indirizzata a Vyacheslav Molotov, l’unico tra i “vecchi bolscevichi” a sopravvivere alle purghe:

“Compagno Molotov, di recente, compiendo ricerche sull’elio liquido tenuto a temperature vicino allo zero assoluto, sono riuscito a scoprire una seria di fenomeno nuovi che permettono di gettare luce su una delle aree più misterioso della fisica contemporanea. Mi propongo di pubblicare pare di questo lavoro nei prossimi mesi, ma avrei bisogni dell’aiuto di un fisico teorico. In Unione Sovietica c’è una persona che padroneggi alla perfezione il campo teorico di cui ho bisogno: si tratta di Landau, che però è in carcere già da un anno.”

Due settimane dopo questa lettera, Kapica fu convocato all’una di notte dall’NKVD e dopo circa tre ore di conversazione e di contrattazione, pronunciandosi come suo garante e come unico e solo responsabile di qualsivoglia crimine, Landau venne liberato. Fu pronto a saldare il proprio debito con Kapitsa sfoderando, come scrive F.Toscano, “il capolavoro di una vita intera”. E così fece. Sempre durante una lezione tenuta al Polytechnical Museumdi Mosca [9]:

“Sono riuscito a sviluppare una teoria che spiegava alcune importanti proprietà dell’elio liquido. Sarebbe però impossibile spiegarvi la natura di questa teoria, nemmeno in linea generale. Essa si basa su uno dei più grandi risultati della fisica del ventesimo secolo, cioè la meccanica quantistica, un ramo estremamente complicato sia nei suoi metodi che nei concetti fisici che esso incorpora, e che è caratterizzato dal fatto che molte delle sue idee non sono accessibili alla nostra percezione. Questo avviene perché la nostra percezione è radicata nell’esperienza quotidiana piuttosto che nel nostro potere intellettuale. Percepiamo facilmente ciò che abbiamo visto, ma solo con grande difficoltà percepiamo ciò che non abbiamo visto.”

Nel 1941 col suo articolo Theory of the Superfluidity of Helium II, Landau ha fornito un approccio fenomenologico e teorico per la comprensione dei fenomeni nei superfluidi. Essenzialmente la sua teoria si basa sull’idea che un superfluido vi siano due tipo di eccitazioni elementari: i fononi e i rotoni. I primi rappresentano le eccitazioni dei reticoli cristallini, mentre i secondi, postulati da Landau e dimostrati sperimentalmente solo negli anni Sessanta, rappresentano eccitazioni più grandi rispetto a quelle dei fononi. Quindi, in sintesi, nel modello di Landau l’elio II era dipinto come un superfluido in cui è presente un gas di fononi e rotoni che coesistono al suo interno.

La teoria fenomenologica di Landau è stata un primo passo per comprendere i superfluidi, altri fisici, tra cui Richard Feynman, hanno contribuito con approcci più dettagliati e teorie microscopiche che hanno approfondito la nostra comprensione della superfluidità e delle sue basi teoriche. Ma come ha scritto Giorgio Careri [10]:

“Il passo mentale molto importante verso una visione più astratta, ma contemporaneamente più vicina alla natura, è il grandissimo merito di Landau.”

Note:

[1] F. Toscano.

[2] L. Palmieri

[3] P. Kapitsa

[4] J.F. Allen and A.D. Misener

[5] A. Livanova

[6] D. K. Buchwald et al.

[7] F. Toscano

[8] Ibidem

[9] A. Livanova

[10] F. Toscano

Bibliografia:

J.F. Allen and A.D. Misener Flow of Liquid Helium II (Nature, Jan. 8, 1938, vol. 141)

S. Balibar Looking Back at Superfluid Helium (Séminaire Poincaré 1; 2003-11-20)

S. Balibar Who discovered superfluidity? (Il Nuovo Saggiatore Vol34/NO3-4 2018)

D. K. Buchwald et al. The collected papers of Albert Einstein. Volume 14. The Berlin Years; Writings and Correspondence, April 1923- May 1925 (Entlish Translation Supplement) https://einsteinpapers.press.princeton.edu/vol14-trans/400

A. Livanova Landau. A Great Physicist and Teacher (Pergamon Press 1980)

P. Kapitsa Viscosity of Liquid Helium below the λ-point (Nature, Jan. 8, 1938, vol. 141)

F. Toscano Il fisico che visse due volte. I giorni straordinari di Lev Landau, genio sovietico. (Sironi Editore)

L. Palmieri Della riga dell’Helium apparsa in una recente sublimazione vesuviana (https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=hvd.hnl7mr&view=1up&seq=251)

 

Landau e Kapitsa