“La bontà serena dei forti”. Enrico Fermi, un breve ritratto.

“Quando in un lontano avvenire, verrà scritta la storia della scienza dei nostri tempi, la prima metà del secolo XX apparirà come un periodo particolarmente notevole non solo per la scoperta di molti nuovi fatti e lo sviluppo di nuove concezioni, ma anche per la loro diretta e indiretta influenza sulla organizzazione della vita umana. Ebbene quegli storici dell’avvenire segneranno nei loro libri che il nostro Paese non è stato assente da questo movimento ma vi ha partecipato e contribuito in maniera essenziale, e questo principalmente ad opera di Enrico Fermi.” [1]

Queste sono le parole di apertura che Edoardo Amaldi, uno dei ragazzi di Vi Panisperna e principale artefice della rinascita della fisica italiana nel dopoguerra, dedicò a Enrico Fermi il giorno della sua commemorazione. 

Fermi fu un fisico straordinario, capace di avere dimestichezza sia con gli esperimenti che di padroneggiare l’apparato teorico. Questa versatilità gli valse il titolo, come recita una delle sue biografie più recenti[2], di “ultimo uomo che sapeva tutto”. 

C’è un episodio in particolare, riportato da Freeman Dyson[3], che racchiude questa sua incredibile capacità di spaziare dalla teoria all’esperimento. Nel 1953 Fermi era a capo della squadra che aveva costruito il ciclotrone di Chicago e stava indagando le forze che tenevano uniti i nuclei atomici, la cosiddetta forza forte. Negli anni era riuscito a effettuare delle misurazioni accurate sullo scattering mesoni-protoni fornendo le prime importanti prove sulla natura delle forzi forti. Dyson a quel tempo era professore associato alla Cornell University e guidava un piccolo gruppo di dottorandi, che avevano come obiettivo di calcolare lo scattering mesone-protone in modo tale da poter confrontare i loro risultati teorici con le misurazioni fatte dal gruppo di Fermi. Nel biennio 1948-1949 avevano già fatto calcoli simili per processi atomici usando la teoria dell’elettrodinamica quantistica trovando quello che tutti i fisici vorrebbero trovare: i dati sperimentali e teorici coincidevano! Decisero dunque di riprovare con le stesse tecniche di calcolo per esplorare le interazioni forti. Nella primavera del 1953, “dopo sforzi eroici”, erano riusciti a tracciare grafici teorici di questi scattering usando una particolare teoria, denominata teoria del mesone pseudoscalare, e notarono che i risultati concordavano abbastanza bene con quelli misurati da Fermi. Dyson chiese allora un appuntamento e andò a Chicago. Una volta arrivato all’ufficio, Fermi non prese neanche in considerazione i grafici e dirottò la conversazione su altri argomenti per poi emettere il suo giudizio con la solita pacatezza:

“Ci sono due modi di fare i calcoli in fisica teorica. Il primo, che è il modo che preferisco, è di avere un’immagine fisica chiara del processo che si sta calcolando. L’altro è di avvalersi di un formalismo matematico preciso e autoconsistente. Tu non hai nessuno dei due.”

Dyson provò a controbattere in qualche modo e chiese spiegazioni.

“L’elettrodinamica quantistica- rispose Fermi- è una buona teoria perché le forze in gioco sono deboli e quando il formalismo è ambiguo abbiamo un quadro fisico chiaro che ci guida. Con la teoria dei mesoni pseudoscalari non esiste un quadro fisico e le forze sono così forti che nulla converga. Per raggiungere i risultati calcolati hai dovuto introdurre procedure arbitrarie che non si basano né sulla fisica né su matematica solida.”


Chiese poi quanti parametri arbitrari avessero utilizzato per fare i calcoli. Quando Dyson rispose che erano quattro, Fermi replicò dicendo:

“Ricordo che il mio amico John von Neumann era solito dire: con quattro parametri posso fare in modo che i dati descrivano un elefante e con cinque gli posso far muovere la proboscide.”

Dyson tornò a casa un po’ amareggiato da quell’incontro ma disse in seguito:

“Ripensandoci dopo cinquant’anni possiamo vedere chiaramente che Fermi aveva ragione. La scoperta che ha dato un senso alle forze forti è stata il quark. I mesoni e i protoni sono entrambi composti da quark e prima che Murray Gell-Mann li scoprisse nessuna teoria delle forze forti poteva essere adeguata. Fermi non sapeva nulla dei quark e morì prima che fossero scoperti, ma in qualche modo sapeva che qualcosa di essenziale mancava nelle teorie dei mesoni degli anni Cinquanta. La sua intuizione fisica gli disse che la teoria del mesone pseudoscalare non poteva essere corretta. E fu proprio la sua intuizione, e non qualche discrepanza fra teoria ed esperimenti, che ha salvato me e i miei studenti dal rimaner bloccati in un vicolo cieco”.

Cercare di elencare la sua opera scientifica è, oltre che inutile, particolarmente difficile. Un tentativo riuscito è quello che si trova in due volumi editi dall’Accademia Nazionale dei Lincei e dalla The University of Chicago Press: due tomi da più di mille pagine ognuno[4]. È, invece, possibile fornire un quadro del suo periodo italiano. Nella prima parte della sua carriera, la statistica di Fermi-Dirac fu uno dei massimi successi raggiunti. Questa costituisce una legge generale a cui obbediscono particelle denominate fermioni (con spin semintero); ricadono in tale categoria gli elettroni, i protoni, i neutroni e molte altre particelle. Una delle sue applicazioni è quello di un modello di atomo, sviluppato in contemporanea e in maniera indipendente da Thomas in Inghilterra, noto come modello di Thomas-Fermi. In questa prima parte, cioè fino al 1932, si occupò prevalentemente della trattazione teorica di problemi di fisica atomica e molecolare. Il secondo periodo fu invece incentrato sullo studio della fisica nucleare, con una grande attenzione alla ricerca sperimentale. Uno delle punte di diamante è, senza dubbio, il lavoro intitolato “Tentativo di una teoria della emissione di raggi beta” (1933) dove, facendo uso della teoria dei campi, spiegò come un neutrone si possa trasformare in un protone con la successiva creazione di un elettrone e di un neutrino (anche se in realtà quel che Fermi chiamò neutrino verrà identificato successivamente come un antineutrino). Questo processo non è nuovo: Fermi fece l’analogia con il caso delle particelle di luce (fotoni) che vengono creati o distrutti quando la luce viene rispettivamente emessa o assorbita, considerando al posto del fotone la coppia elettrone-neutrino. Fermi sviluppò l’apparato matematico usando oggetti, gli operatori, per creare e distruggere particelle tramite il metodo della cosiddetta “seconda quantizzazione”. Nella sua teoria, la trasformazione di un neutrone in un protone attiva un nuovo tipo di corrente, la corrente debole, che causa la creazione di queste coppie. Fermi gettò dunque le basi per l’interazione debole, che solamente quasi trent’anni dopo acquisì un assetto teorico più dettagliato, e che riveste un ruolo fondamentale nell’economia dell’universo (solo alla base dell’energia solare ad esempio). Successivi studi sulle interazioni deboli vennero premiati con una decina di premi Nobel.

L’altro grande traguardo raggiunto fu la scoperta della radioattività indotta dai neutroni. Nel 1934 i coniugi francesi Frédéric Joliot e Irène Curie annunciarono di aver scoperto la radioattività artificiale dopo aver bombardato l'alluminio con le particelle alfa (nuclei di elio carichi positivamente). Successivamente questo processo venne osservato anche su altri materiali leggeri, ma su elementi più pesanti il bombardamento non sortiva alcun effetto. Enrico Fermi ebbe l'intuizione di sostituire le particelle alfa con i neutroni: essendo privi di carica non venivano attratti dagli elettroni, né venivano respinti dai nuclei, e avevano una maggiore probabilità di incontrare lungo la loro traiettoria un nucleo. I neutroni però non erano emessi spontaneamente da sostanza radioattive. Per ottenerli era necessario bombardare preliminarmente determinati elementi con particelle alfa. Per ottenere un solo neutrone era necessario usare (circa) 100.000 particelle alfa. Fermi e il gruppo dei ragazzi di Via Panisperna iniziarono a irradiare gli elementi della tavola periodica. In poco tempo vennero irradiati con neutrini una sessantina di elementi e in almeno quaranta di questi vennero scoperti e spesso identificati nuovi elementi radioattivi. Questi risultati, di grande importanza, vennero acclamati anche da Ernest Rutherford, il padre della fisica nucleare, che scisse a Fermi:


“Mi congratulo con lei per il successo della sua fuga dalla sfera della fisica teorica. Sembra proprio che lei abbia trovato una buona linea di ricerca per cominciare.”[5]

Nel proseguire col bombardamento sistematico, Fermi e il suo gruppo arrivarono a irradiare anche il torio e l’uranio, ma l’attività di questi elementi ostacola l’identificazione dei nuovi radionuclidi artificiali ottenuti. Si convinsero quindi di aver dimostrato l’esistenza di due elementi transuranici, i numeri 93 e 94, che ribattezzarono ausonio ed esperio. L’ipotesi si rivelò poi sbagliata solo nel biennio 1938-1939 con i lavori di lise Meitner e Otto Hanh sulla fissione nucleare. Un articolo del 1934 della chimica tedesca Ida Noddack già avvertiva Fermi di questo problema, ma implicava un tipo di reazione completamente nuovo e fu accantonato. 

Nell’autunno del 1934 Edoardo Amaldi e Bruno Pontecorvo furono incaricati di stabilire una scala quantitativa delle attività indotte negli elementi bombardati. I due si trovarono di fronte a interessanti considerazioni: l’intensità della radioattività sembrava dipendere dal materiale su cui venivano posti la sorgente e l’elemento da irradiare. I due osservarono immediatamente che i tavoli in legno avevano proprietà miracolose: se infatti si irradiava l’argento su uno di quei tavoli, piuttosto che su quelli in marmo, si osservava un aumento della radioattività. La mattina del 22 ottobre erano quasi tutti impegnati in esami e in laboratorio erano presenti solo Fermi e Enrico Persico, amico di lunga data che a quel tempo aveva la cattedra di fisica teorica a Firenze. Fermi, deciso a continuare gli esperimenti, invece che inserire un cuneo di piombo tra la sorgente di neutroni e l’argento da attivare, ci posizionò un pezzo di paraffina. Il risultato fu sbalorditivo. Nelle parole di Pontecorvo:
“I risultati furono sorprendenti: l’attività dell’argento era centinaia di volte superiore a quella misurata in precedenza. Fermi fermò la confusione e l’agitazione pronunciando una famosa frase che, si dice ripeterà otto anni dopo quando ci fu l’avvio del primo reattore nucleare: «Andiamo a pranzo». Quando egli tornò dopo pranzo all’Istituto e, con incredibile chiarezza ci spiegò l’effetto della paraffina, introducendo così il concetto del rallentamento dei neutroni, ci disse con assoluta sincerità: «Che cosa stupida aver scoperto questo fenomeno casualmente senza averlo saputo prevedere». [...] Quando, più tardi, noi chiedemmo a Fermi perché avesse usato un cuneo di paraffina e non di piombo, egli sorrise e con aria beffarda articolò «C.I.F.» (Con Intuito Fenomenale).”[6]

Già l’anno successivo il gruppo iniziò a disperdersi. Successivamente, con il pretesto di recarsi a Stoccolma per ritirare il premio Nobel assegnatogli nel 1938, Fermi abbandonò l’Italia. La promulgazione delle leggi razziali (sua moglie Laura era ebrea, unita a una totale incapacità di reperire i fondi necessari per continuare a fare ricerca di alto livello (ad esempio trovare i fondi per la costruzione di un ciclotrone) giocarono un ruolo decisivo nella scelta di Fermi. Negli Stati Uniti guidò il gruppo che realizzò con successo la prima reazione controllata della storia, grazie alla Chicago Pile-1. Arthur Compton, in una telefonata al presidente del National Defense Research Committee, disse:

“Il navigatore italiano è appena sbarcato nel nuovo mondo.”

Nonostante ciò, non venne chiamato immediatamente a partecipare al Progetto Manhattan, ma fu inserito nell’organico ufficialmente nel 1944. Un rapporto dell’intelligence dell’esercito statunitense su Fermi ci dona un retroscena della diffidenza americana sul fisico italiano (e in generale di qualsiasi altra persona che doveva prendere parte al Progetto). Si legge:

"Enrico Fermi, Dipartimento di Fisica della Columbia University, New York City, è uno degli scienziati più importanti al mondo nel campo della fisica. È noto soprattutto per aver scomposto l'atomo. È negli Stati Uniti da circa diciotto mesi. È italiano di nascita ed è arrivato qui da Roma. Si suppone che abbia lasciato l'Italia perché sua moglie è ebrea. Ha vinto il Premio Nobel. I suoi collaboratori lo apprezzano a livello personale e ammirano molto le sue capacità intellettuali. È senza dubbio un fascista. Si suggerisce che, prima di impiegarlo in questioni di natura segreta, si faccia un'indagine molto più accurata. Si sconsiglia di impiegare questa persona in lavori segreti."[7]

Il periodo successivo esiste, come dice Giulio Maltese, un Fermi nascosto:

“Durante il periodo che va dal 1947 al 1963, la fisica delle particelle elementari divenne adulta e passò attraverso ai trionfi e ai dolori della sua adolescenza. Quegli anni videro l’affermarmi della teoria quantistica dei campi nell’elettrodinamica quantistica e il concetto di simmetria emergere come caratteristica fondamentale della fisica. I ricercatori scoprirono particelle così diverse da ogni altra particella allora nota tanto da coniare per esse l’appellativo “strane” e trovando poi proprietà inaspettate nel comportamento di interazioni note da tempo. Gli anni Cinquanta furono un periodo di scompiglio intellettuale, dove nella fisica teorica cambiarono mode e atteggiamenti. E Fermi ne fu uno dei principali protagonisti. 
Negli ultimi anni della sua vita, dal 1946 al 1954, influenzò cospicuamente la nascita e la rapida crescita della fisica delle alte energie. Fu un’influenza manifestatasi sotto diversi aspetti, che vanno dal suo ruolo come didatta e fondatore della cosiddetta Scuola di Chicago (da cui uscirono molti importanti scienziati) a contributi decisivi alla teoria (come l’interpretazione dell’esperimento di Conversi, Pancini e Piccioni o l’ardita ipotesi, formulata nel 1949 assieme a Chen Ning Yang. Come fisico sperimentale, servendosi del sincrociclotrone di Chicago, condusse col suo gruppo un’indagine importantissima, che culminò con la scoperta della prima risonanza pione-nucleone e contribuì a riportare il concetto di isospin e, più in generale, il concetto di simmetria al centro dell’attenzione nello studio delle interazioni forti. 

Fu un forte e convinto sostenitore dello sviluppo della fisica delle alte energie, e spinse costantemente verso la realizzazione di acceleratori di particelle e calcolatori elettronici, che considerava entrambi come gli strumenti più naturale e necessari dei fisici delle particelle.

Fermi nutriva notevole interesse verso tutti gli aspetti della fisica delle particelle elementari o, come preferiva denominarle, “fondamentali”. Insegnò fisica a una generazione di giovani scienziati, molti dei quali hanno avuto un ruolo fondamentale nella rivoluzione che hanno avuto un ruolo fondamentale nella rivoluzione che ha segnato le sorti della fisica degli ultimi cinquant’anni. Prese attivamente parte al dibattito sull’apparente inadeguatezza della teoria di fronte al crescente numero di nuovi e sorprendenti fatti che gli esperimenti portavano continuamente alla luce. In questi tempi di confusione la sua visione pragmatica della fisica teorica fu particolarmente utile per lo stato in cui allora la disciplina versava."[8]
Un’altra grande caratteristica di Fermi era quella di essere un eccellente insegnante. Apprezzato e stimato da ogni studente, non adoperava un testo di riferimento, ma appunti scrupolosamente preparati che usava per ridurre un problema alla sua essenza; guidava poi tutta la platea, passo dopo passo, alla risoluzione. In merito alla stima che gli studenti provavano per Fermi, il fisico americano Harold Agnew raccontò[9] un episodio avvenuto nella primavera del '54.  Sentì un frastuono provenire dal Dipartimento di Fisica dell'Università di Chicago e, insieme a un agente di sicurezza del campus, si precipitò a vedere cosa fosse successo. Spalancata la porta, i due trovarono un centinaio di studenti in piedi che applaudivano e celebravano Fermi, dopo che questo aveva concluso l'ultima lezione del semestre. Sembra che non ci fosse mai stata una tale confusione come in quell'occasione.

Sempre nel 1954 fu ospite in Italia alla prima Scuola di Varenna. Nell’immaginario rimase quella ultima lezione che Fermi fece sulla fisica dei mesoni π. Amaldi scrisse:

“Al termine della lezione svolta di fronte a una quarantina di allievi, metà italiani, metà di tutti i paesi del mondo, con quella semplicità di forma, chiarezza incisiva, con quella logica stringente e con quello spirito critico stimolante che avevano tutte le sue lezioni, c’era stata una breve pausa di attesa commossa seguita da un applauso indimenticabile, pieno di gratitudine e ammirazioni.”[10]

Se si desidera tentare di entrare nell’intimità di Fermi, bisogna quasi obbligatoriamente rivolgersi a Enrico Persico:

“Ancora l’estate scorsa (quella del ’54) ebbi la fortuna di averlo compagno di villeggiatura sulle Alpi e in Toscana. Benché fosse già sofferente del male che poco dopo doveva rivelarsi fatale, era ancora il caro e semplice compagno delle nostre passeggiate giovanili. Anzi, in una gita che facemmo, noi due soli, nell’Isola d’Elba, ritrovai in lui una vecchia abitudine che credo pochi conobbero, e che forse farà stupire chi lo ha conosciuto solo superficialmente. Spesso, nei momenti di distensione, camminando o sostando in cista di un bel paesaggio, l’ho udito recitare lunghi brani di poesia classica, di cui fin dalla giovinezza custodiva nella memoria un ricco tesoro. Temperamento poco incline alla musica, la poesia gli teneva luogo di canto.

Il nome di Fermi per la grande maggioranza degli uomini resta legato alla pila e alle utilizzazioni dell’energia atomica. Per i fisici esso si ricollega, direttamente o indirettamente, a gran parte dei progressi fatti dalla fisica nell’ultimo trentennio. Ma per tutti coloro che conobbero Fermi da vicino e lo ebbero caro, esso è legato al ricordo indimenticabile di un uomo semplice, saggio e buono, della bontà serena dei forti.”[11]

Note:
[1] Edoardo Amaldi Commemorazione del Socio Enrico Fermi. Accademia Nazionale dei Lincei, quaderno N. 35, Roma (1955). Presa da: Conoscere Fermi nel centenario della nascita 29 settembre 1901-2001. A cura di Carlo Bernardini e Luisa Bonolis
[2] David N. Scwartz Enrico Fermi. L’ultimo uomo che sapeva tutto (Solferino, 2018)
[3] Freeman Dyson A meeting  with Enrico Fermi Nature, 427, 297 (2004)
[4] Accademia Nazionale dei Lincei, The University of Chicago Press Enrico Fermi. Note e memorie Volume I: Italia 1921-1938, Volume II: United States 1939-1954. A cura di E. Amaldi, H.L. Anderson, E. Persico, F. Rasetti, C.S. Smith, A. Wattenberg, E. Segrè. 
[5] Luisa Bonolis Cronologia dell’opera scientifica di Enrico Fermi. Conoscere Fermi nel centenario della nascita 29 settembre 1901-2001
[6] Ugo Amaldi The Legacy of Bruno Pontecorvo: Major events and minor episodes. Il Nuovo Cimento Vol 37 C, N.5 (2014). Originariamente citato in: Bruno Pontecorvo Enrico Fermi (Edizioni Studio Tesi, Pordenone) 1993, p. 82.
[7] https://academic.oup.com/book/53889/chapter-abstract/422190585?redirecte...
[8] Giulio Maltese Ritorno a Chicago: Enrico Fermi e la nascita della fisica delle alte energie nel secondo dopoguerra (1946-1954). Tratto dalla relazione su invito presentata al XXI Congresso Nazionale di Storia della Fisica e dell’Astronomia, a cura della Società Italiana degli storici della Fisica e dell’Astronomia, Cosenza, Università della Calabria, 6-8 giugno 2001.
[9] David N. Scwartz Enrico Fermi. L’ultimo uomo che sapeva tutto (Solferino, 2018)
[10] Edoardo Amaldi Commemorazione del Socio Enrico Fermi
[11] Enrico Persico Commemorazione di Enrico Fermi (tenuta a Pisa nel gennaio 1955). Ripresa poi in: Conoscere Fermi nel centenario della nascita 29 settembre 1901-2001. A cura di Carlo Bernardini e Luisa Bonolis.

 

A cura di Riccardo Giustozzi.

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